LimeWire, dal giudice no alle esose richieste delle major



Sorpresa: nel caso LimeWire il giudice rigetta le astronomiche richieste dei discografici; per le major è ora di cambiare strategia?


LimeWire, un tempo popolare software di filesharing, è ormai fuori uso dallo scorso ottobre. E se circolano in rete gruppi che utilizzano ancora questo nome, le società del Lime Group LLC che originariamente distribuivano il software hanno dovuto cessarne la distribuzione adeguandosi all’ingiunzione del giudice distrettuale Kimba M.Wood, datata 26 ottobre 2010.

I guai però non sono finiti. Una volta che il giudice ha in effetti ritenuto LimeWire come potenzialmente in grado di agevolare violazioni di copyright su vasta scala, si passa al dibattimento sul risarcimento dei danni. Il processo si è aperto e la prossima udienza importante sull’argomento è prevista per maggio. Ma per il momento, Lime Group ha segnato un punto importante a proprio favore.

Se il caso sembra comunque destinato a concludersi con la sconfitta per i fautori del filesharing, il 10 marzo 2011, lo stesso giudice Wood ha in effetti “limitato i danni” per LimeWire, e non poco.

Certo, la legge americana prevede che il giudice possa condannare il copevole di una violazione di copyright a pagare un’ammenda salatissima: fino a 150.000 dollari per singolo brano. Ma, innanzitutto nessuno è mai stato condannato a pagare l’importo massimo. E soprattutto, proporre di “moltiplicare” tale importo per opera per ogni singolo episodio di condivisione accaduto (come le label avrebbero voluto in questo caso), vorrebbe dire giungere a somme inimmaginabili. Anche ben oltre i “trillions”, i miliardi di dollari di cui si è parlato in questo caso.

Ecco il pezzo “clou” della decisione, che di fatto cita la memoria difensiva di LimeWire:

La parte attrice sta suggerendo un risarcimento che equivarrebbe a più denaro di quanto l’intera industria della musica registrata abbia mai incassato dall’invenzione del fonografo di Edison nel 1877“.

Un’affermazione spiazzante e spettacolare, ma azzeccatissima. Che riporta gli aventi diritto con i piedi per terra e che sembra suggerire che i titolari di copyright talvolta non abbiano neppure il senso del ridicolo. Il giudice suggerisce di evitare soluzioni che portino a “risultati assurdi”.

Il caso è Arista Records LLC v. Lime Group LLC, che vede una serie di etichette, di fatto tutte legate alle major del disco, contro l’ex distributore di software.

Il giudice Wood solo lo scorso anno si è occupata di un caso delicatissimo: quello del cosiddetto “Illegals Program“, la vicenda delle spie russe infiltrate in USA, conclusasi con uno scambio di progionieri tra i due grandi paesi. Un caso storico, da Guerra Fredda.

A lei sbrogliare la matassa del caso LimeWire ma, se le premesse sono queste, ci saranno sicuramente altre sorprese in arrivo…

Un’ultima curiosità: la violazione fa riferimento soprattutto a opere post-1972 (prima non esisteva neppure il concetto di protezione federale del copyright per i master discografici, in USA). Però, le etichette chiedono danni anche per una serie di opere precedenti, in base alla “common law”. E’ la conseguenza del discusso caso Capitol v. Naxos, di qualche anno addietro.

Pubblicato su: http://mytech.it/web/2011/03/13/limewire-dal-giudice-no-alle-esose-richieste/