Napster e il grande circo della e-music



Dietro il caso giudiziario che vede opposte le case discografiche alla società nata dall’idea di Shawn Fanning, un mercato caratterizzato da voci, aspettative infondate e improvvisazione. E se si ripartisse da zero?

Napster morto, Napster vivo.
Napster chiuso, Napster chiude, Napster chiuderà.
Napster gratis, Napster a pagamento.
Metallica contro, Madonna a favore, Rage Against The Machine contro, anzi no, a favore: scusate, non è colpa nostra, ma di un manager poco lungimirante.
La stampa e la Tv dal 12 febbraio, giorno del verdetto dei giudici del Ninth Circuit contro Napster si affannano a fare a gara a chi le spara più grosse.
La verità è una sola: Napster non chiude, ma i giudici hanno fatto un elegante scaricabarile rispedendo la causa al mittente, il giudice Patel. È chiaro che la Patel, visto il suo orientamento, altro non farà che emettere una condanna. Eppure, il Ninth Circuit le impone di correggere la precedente ingiunzione: Napster non chiude, perché può essere usato per scopi legali; allo stesso tempo, però, è o può essere ritenuto colpevole di copyright infringment, il che potrebbe costargli molto caro. Un’affermazione salomonica, insomma.
Mentre la responsabilità collegata alle caratteristiche del prodotto (product liability) viene da alcuni invocata e da altri ignorata del tutto, i traffici continuano. Rasenta il ridicolo il modo in cui il riferimento alla product liability viene presentato dai giudici stessi: in pratica, si è responsabili per il prodotto solo se si è a conoscenza del fatto che qualcuno lo usa per violare i diritti altrui. Perché, forse Napster non è in grado di accorgersi da solo di che cosa può fare il proprio software?
Bmg (che tecnicamente non è proprietaria di Napster, ma di fatto può fare il bello e il cattivo tempo avendo messo in gioco svariate decine di milioni di dollari per la “creazione di un sistema legale di distribuzione peer to peer“), dichiara le migliori intenzioni ma di fatto è incapace di produrre un subscription model tecnicamente funzionante come quello di Emusic (a soli 10 dollari al mese).

Storie di ordinaria improvvisazione
In realtà, il dato che emerge ripercorrendo la cronaca di questi due anni di battaglie economiche e legali, è l’improvvisazione di molti protagonisti. L’improvvisazione del giudice Rakoff, che ha condannato Mp3.com a risarcire Universal di qualcosa come oltre 50 milioni di dollari (più di quanto Bmg abbia “prestato” a Napster!) e a versare altri 20 milioni a testa alle altre major.
L’improvvisazione dei neo-imprenditori, ma ancora di più delle megacorporazioni. Iuma (Internet Underground Music Archive) ha goduto di ottima salute per lunghissimo tempo. Un anno in mano a una quasi-major della musica digitale lo ha quasi distrutto. D’altro canto, Riffage è peggiorato visibilmente sia nell’aspetto grafico sia nei tool usati dagli artisti per gestire le proprie pagine, tanto da essere ormai impossibile da usare (sabotaggio?).
L’improvvisazione di chi cerca di lanciare formati proprietari di ogni genere (Liquid Audio), già segnati perché macchinosi o basati su tecnologie di protezione poco gradite dall’utente.
L’improvvisazione degli stessi artisti, che nel tentativo di sfuggire alle maglie dell’industria discografica tradizionale sono finiti in quelle della truffa on line.
L’improvvisazione degli utenti, che pensano che gratis a tutti i costi è bello, e non pensano che la prima e più grave violazione commessa da Napster riguarda i diritti morali degli artisti. Diritti morali offesi dai nomi di file modificati, dai tag Id3 rimossi, dai brani mutilati, dalla mancanza di informazioni biografiche o di contatti.
L’improvvisazione di chi, come Bmg, pensa che finanziando tutto il finanziabile prima o poi riuscirà a guadagnarci qualcosa. E dimenticandosi che se Riffage è già morto, il più grande negozio di dischi stampati on line, CDnow.com, non se la passa proprio bene.

I rumor che non fanno bene a nessuno
Forse Napster morirà o forse no. Da utente, ritengo che la copia privata non debba essere vietata. Tuttavia, devo riconoscere che Napster permette una copia aperta, senza controlli reali, che a differenza dei sistemi di copia privata tradizionale (cassette e Cd) non solo non prevede una tassazione del supporto, ma non ha alcun supporto da tassare.
Ma per uscire da questo impasse non servono titoli strillati. Né le peripezie del Nasdaq, che troppo spesso distruggono le società che fanno bene il proprio lavoro, per promuovere “bolle” pronte a esplodere. Meglio sarebbe che la distribuzione della musica – gratuita o a pagamento – tornasse a essere uno strumento al servizio di artisti e fruitori e non un marasma giuridico-giornalistico-speculativo, che interferisce con il lavoro di chi di musica vive ogni giorno.

Il 2000: l’anno pazzo della musica on line
Cronistoria per nulla ufficiale dei 365 giorni che hanno
sconvolto il mondo della musica e della Rete

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