Nell’era del Web 2.0, lo shock di Virginia Tech



Il nome Virginia Tech fino a ieri non diceva molto al grande pubblico; per le famiglie americane in procinto di iscrivere figli all’università, Blacksburg, Virginia, sembrava una destinazione anonima e tranquilla, pur essendoci un campus affollato da oltre 28.000 studenti, oltre che una istituzione in grado di fornire interessanti sbocchi per la futura professione.

Per gli addetti ai lavori, per esempio, Virginia Tech è il posto in cui in un certo senso è nato Bitmunk, uno dei tanti sistemi di distribuzione per la musica online ed altri tipi di file, creato da tre laureati di questa istituzione. Di certo molte altre persone al lavoro in società ad alto contenuto tecnologico o direttamente coinvolte nella creazione di piccole start-up sono uscite da lì.

Da oggi, purtroppo, Virginia Tech è un nome associato alla più violenta strage causata in America dalle armi da fuoco, in una scia di sangue che parte dal 1966 e si ripete periodicamente da quarant’anni, con minime variazioni nel copione.

Nel bene e nel male, Internet ha giocato un ruolo importante in questa vicenda: per avvertire gli studenti di cosa stava accadendo sono stati usati messaggi di posta elettronica; tardivi, secondo alcuni, dato che al momento del loro invio pare si stesse già verificando la seconda carneficina.

Il sito dell’università presenta una sezione speciale con messaggi e informazioni: la home page riferisce della chiusura del campus; all’interno vengono pubblicati numeri telefonici utili, podcast con le dichiarazioni di Charles Steger, presidente dell’istituzione e una ricostruzione dell’accaduto. Si annuncia una veglia per stasera alle 20 ora locale.

Le televisioni che ormai sembrano aver eliminato cartine “fatte in casa” e grafici di  redazione usano Google Earth per mostrare le mappe del luogo.

Ma lo scoop del giorno porta il nome dello studente Jamal Albarghouti: Jamal era nel campus ed aveva con sé un telefonino quando si è trovato davanti alla scena della sparatoria tra la polizia e il killer; gli agenti corrono e i colpi d’arma da fuoco echeggiano nell’aria. Jamal filma quello che può col suo cellulare. Poi invia le  immagini mosse  – comunque importantissima testimonianza dell’accaduto – al sito CNN nella sezione “I-Report” dedicata al materiale inviato dagli utenti, dove anche altre persone hanno inviato contributi. Da lì, hanno fatto il giro del mondo.

Il massacro del Virginia Tech – un fatto che sta avendo sull’opinione pubblica soprattutto americana un impatto devastante quasi quanto quello dell’11 settembre – ci sta mostrando come sia radicalmente cambiato il modo di fare giornalismo in pochi anni grazie agli strumenti del web.

Il problema del troppo facile accesso alle armi da fuoco negli Stati Uniti, invece, resta in piedi come alcuni decenni fa.

Ma possiamo stare certi di una cosa: se mai partirà un movimento d’opinione per modificare le leggi relative a questo settore o quantomeno cercare di contenere il problema, questo avverrà sulla Rete e grazie ad essa.

Immagine tratta da www.vt.edu.

Pubblicato su: http://blog.mytech.it/2007/04/nellera-del-web-20-lo-shock-di-virginia-tech/