Radio Pirata, un’avventura lunga cinquant’anni



Era il 1958 quando in Europa compariva la prima emittente “offshore”: un libro di Andrea Borgnino fa il punto, dai tempi di Elvis a quelli di Internet.

Ha ancora senso ai nostri giorni occuparsi di radio, per di più di emissioni radio prive di licenza – la cosiddetta radio “pirata” – quando c’è tutta l’Internet a disposizione e quindi, almeno teoricamente, tutta la libertà di espressione possibile (e la possibilità di ascoltare musica di ogni genere)?

Per qualcuno, sì: la radio via etere può sembrare un mezzo datato, in tempi di satelliti, digitale terrestre, Internet. La radio “corsara”, forse ha perso parte delle sue funzioni: quello che un tempo avremmo solo potuto esprimere clandestinamente ai microfoni di un’emittente offshore come quelle che spuntavano come funghi al largo di paesi come Danimarca, Olanda, Gran Bretagna oggi lo possiamo dire alla luce del sole su un blog, che magari ha costo zero e per il quale non rischiamo il sequestro di alcuna attrezzatura.

Eppure il fascino dei corsari dell’etere è indubbio e continua a fare proseliti, anche di questi tempi.

Copertina del volume "Radio Pirata"Così, ben venga il lavoro di Andrea Borgnino, “Radio Pirata” (120 pagine, uscito da qualche mese per i tipi di Paolo Emilio Persiani Editore) che parte da quel fatidico giorno di poco più di cinquant’anni fa, in cui Radio Mercur apriva le trasmissioni da una nave ancorata al largo di Copenhagen per arrivare ai giorni nostri.

Il volume non sarà esente da piccole pecche e fotografa solo uno squarcio ben preciso: la scena europea a partire dal 1958, dall’epoca del rock’n’roll, mentre la pirateria radiofonica vanta esempi quasi sin dall’alba dell’era della radio, quali il caso di una stazione “fuorilegge” in USA nel 1924.

Ma è un ottimo punto di partenza e un discreto sommario degli eventi chiave: che poi volendo si possono approfondire con altre letture, alcune delle quali indicate in bibliografia, come il classico “When Pirates Ruled the Waves” di Paul Harris.

Non mancano le vicende di Radio Caroline e delle emittenti situate nell’Estuario del Tamigi, alcune su navi e altre sui forti abbandonati della Seconda Guerra Mondiale (uno di questi proprio in seguito alle vicende “piratesche” si sarebbe trasformato pochi anni dopo nel mitico Principato di Sealand). O l’avvento di John Peel e di altri grandi dj che – nati su emittenti interamente pirata – passavano poi a diffondere un “sound” del tutto nuovo su stazioni perfettamente legali come BBC One.

Interessante a questo proposito la presenza di interviste come quella a Norman Barrington, in forza a Caroline per tre anni, nei mitici “seventies”; e gli spaccati sulla scena olandese e poi su quella londinese legata prima all’house music di fine anni ‘80 e poi alla scena musicale jungle e drum’n’bass negli anni ‘90.

La tecnologia va avanti, la Rete penetra le nostre vite, ma la radio non vuole morire. “La radio è cambiata, ma nello stesso tempo anche la gente lo è” – dichiara Barrington a Borgnino, e prosegue: “Non si può tornare indietro, i progressi tecnologici ci stanno portando in una nuova fase della storia della radio”.

Che, a quanto pare, è un medium che ha ancora molto da dire.

Pubblicato su Mytech