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Libero Quotidiano e la bufala dei battesimi vietati dall’Europa

libero_battesimi2014

Un articolo clamoroso di Libero Quotidiano, pubblicato il 21 aprile 2014 (e che sarà probabilmente sparito quando leggerete queste righe) titola così:

Condannata l’Italia
La Corte europea ci vieta di battezzare i nostri figli

Sul fatto se sia giusto o meno per un cristiano far battezzare i propri figli sin da piccoli si è dibattuto seriamente più volte e se ne continuerà certo a discutere: non si battezzavano i neonati, nei primi secoli della cristianità, ma solo gli adulti. L’articolo pubblicato sotto questo titolo preoccupante e apparentemente ben documentato e ricco di fonti giuridiche alle quali la “Corte europea” avrebbe attinto per condannare il nostro paese sul tema dei battesimi (come se questa pratica esistesse solo in Italia, peraltro…) è un piccolo capolavoro a firma Caterina Maniaci.

Vediamone qualche estratto:

Una violenza su un bambino, indifeso e «giuridicamente incapace». Di quale violenza orribile, perpetrata ai danni dei più piccoli, si tratta? Su cosa è intervenuta con forza la Corte europea dei diritti umani? Si tratta del battesimo. Sì, il battesimo lede la libertà di coscienza del neonato e si configura come una vera e propria violenza nei suoi confronti. La Corte, incaricata di garantire il rispetto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), si è così espressa, qualche giorno fa, trovandosi a giudicare il ricorso presentato da una madre italiana che si era vista condannare da un tribunale di casa nostra. La donna, che all’epoca dei fatti si era opposta al battesimo del figlio e che, ciò nonostante, non aveva potuto impedire che il rito si celebrasse ugualmente per volere del marito, aveva chiesto al giudice italiano che il sacramento venisse annullato.

e ancora:

Il tribunale, invece, ha emesso nei suoi confronti una sentenza di condanna per minacce e abbandono del tetto coniugale, in quanto la donna aveva abbandonato il marito, che appunto voleva battezzare il bambino. La Corte Europea ha quindi condannato l’Italia non solo per non aver riconosciuto il diritto della donna di opporsi al battesimo del proprio bambino, ma anche per aver violato la libertà di pensiero, di coscienza e di religione (di cui all’art. 9 della CEDU) del neonato stesso: «L’Italia permettendo il battesimo ai neonati, viola l’articolo 9 della Convenzione Europea in combinato disposto con l’articolo 14, in quanto i neonati non sono ancora in grado di intendere e di volere o emettere un atto personale e cosciente e, nella fattispecie, sono obbligati e far parte di un associazione religiosa per tutta la vita», si legge nella sentenza. Non solo.

No, dico, nel drammatico caso della madre italiana ingiustamente condannata per minacce e abbandono del tetto coniugale (?) non c’è solo l’art. 9 della CEDU, ma pure il combinato disposto del 14. Ma non finisce qui: i paragrafi successivi, che omettiamo di riportarvi, menzionano anche “l’art. 3, dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia – ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991 con la legge n. 176” e forniscono cifre interessanti sul fenomeno degli sbattezzi, menzionando l’UAAR oltre che la posizione della Chiesa Cattolica su tale fenomeno.

Il tutto è estremamente interessante: una delle bufale meglio costruite degli ultimi tempi, riportata in forma praticamente integrale; anche se quel fantomatico avvocato “Gianni Battisti” citato a un certo punto (e che a noi ricorda un po’ troppo un certo Giovanni il Battista) doveva pur lasciar intendere qualcosa.

A dirla tutta, il famigerato “Corriere del Mattino” presente su giornaledelcorriere.altervista.org (e al momento offline…) e fonte di questo gioiello, non è esattamente un organo di stampa affidabile. O forse lo è, dato che da qualche parte sul sito stesso si dichiara apertamente che le notizie sono inventate.
Un po’ come il quasi gemello “Corriere del Corsaro” che ultimamente regala perle tipo “Vietato puzzare” o “Patente: da Agosto 2014 sarà revocata a tutte le donne” (condivise e commentate da maree di gonzi inviperiti).

Italia, 2014: lo stato dell’informazione in un paese in coma profondo.

File under ‘bullshit’: UltraViolet (e boiate di Repubblica.it)

La fantomatica tecnologia UltraViolet, un’accozzaglia di ben cinque (!?) tipi di diversi sistemi di protezione, quelle cose impropriamente note come “Digital Rights Management“, è una tecnologia per “cloud storing” destinata a sparire senza mai essere implementata seriamente e che – pur avendo il supporto di una cinquantina di società tra major del cinema, provider e altri nomi dell’alta tecnologia, da Nokia a Sony, di fatto non è supportata da due nomi chiave, Apple e Disney.

In pratica, secondo il DECE (Digital Entertainment Content Ecosystem) , il consorzio di società che sviluppano e supportano questo sistema, in un futuro prossimo avremo a disposizione l’accesso a un “diritto” permanente alla visione di un film, per esempio. E ciò al di là del formato o della periferica disponibile.

Un po’ come dire: hai pagato una volta, per te e la tua famiglia, per vedere questo film. Lo potrai rivedere – sempre nell’ambito del nucleo familiare – su computer, tablet, player portatili, tv e altro ancora, a vita e se occorre scaricandolo in formati diversi.
Un “locker” che anziché conservare file multimediali racchiude in pratica le licenze che ci consentono di accedere in una varietà di formati e situazioni al materiale che abbiamo acquistato.
L’idea non sarebbe di per sé malvagia ma la (non casuale, visto che l’azionista di riferimento è lo stesso…) sinergia di due leader come Apple e Disney per boicottarla e sviluppare un proprio sistema di Video on Demand, Keychest (annunciato sin dal 2009 e anch’esso di dubbia fattibilità), unita alla macchinosità del sistema, non lascia sperare troppo.

Bonus: se avete letto in merito l’articolo di Repubblica.it del 17 marzo, merita una segnalazione questa “perla”.
“Rispetto ad altre soluzioni avanzate in passato (una su tutte il PayForSure proposto nel 2004 da Microsoft)”… vogliamo ovviamente sperare in un banale refuso dovuto alla fretta.

Il “PayForSure” (lapsus freudiano? ;)) non esiste, si intendeva “PlaysForSure“, una risibile “certificazione” targata Microsoft che – a dispetto del nome – non veniva usata nemmeno dalla stessa casa produttrice…