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Wal-Mart, addio alla musica digitale

Il colosso della grande distribuzione getta la spugna: per il grande pubblico Wal-Mart non è mai stato un buon posto per comprare mp3; e, dietro le quinte, il destino del vecchio Liquid Audio

A dargli uno sguardo mentre scriviamo queste righe il 10 agosto 2011, su mp3.walmart.com sembrerebbe tutto regolare: un brano di Katy Perry in cima alla classifica, spot che segnalano la presenza della soundtrack di Cars 2, persino un feed che segnala le ultime novità apparse solo poche ore fa.

Insomma un negozio di musica formato mp3 in piena attività; nulla che lasci presagire che il sito chiuderà i battenti il 29 agosto, segnando l’uscita di Wal-Mart, colosso della grande distribuzione negli Stati Uniti, dal mercato della musica digitale.

Ne dà notizia Digital Music News, citando un comunicato inviato a partner e titolari di contenuti.

Nonostante il nome e le dimensioni, Wal-Mart non aveva mai avuto particolare successo in questo settore, un po’ come le major del disco per anni non sono riuscite ad imporre propri servizi di distribuzione (Sony Connect, ad esempio) o formati e DRM proprietari.

La catena di supermercati utilizzava un fornitore il cui nome dirà poco ai più, ma che – nel bene e nel male – ha fatto la storia della musica online: Liquid Digital Media.

Erede (dal 2003) dell’originale Liquid Audio attiva a fine anni ’90 e fondata addirittura nel 1996, tra i primi servizi a vendere download tra il 1997 e il 1998, Liquid aveva un proprio formato (basato sul Fraunhofer AAC), un proprio player, addirittura occorreva acquistare un software (Liquifier Pro) per convertire i propri brani da inserire in distribuzione. Un sistema macchinoso e costoso, che però non mancò di farsi notare, per una breve stagione, anche per il tentativo di mettere su un circuito distributivo (Liquid Music Network) a cui apparteneva anche il primo sito italiano a dotarsi di licenza multimediale SIAE, Web Music Company.

Quella stagione fu però effimera: l’ascesa di Liquid si può dire conclusa tra il 1999 e il 2000, quando oltre a una pletora di concorrenti decisamente più accessibili, fece la sua comparsa la prima versione di Napster. Passato di mano appunto nel 2003 (ad Anderson Merchandisers, che già riforniva la catena di supporti musicali “tradizionali”) Liquid rinasce ma con una sola funzione: diventa il fornitore ufficiale di musica digitale per Wal-Mart.

Certo, un grande nome e una grande struttura: ma nel frattempo altri (a partire da CD Baby) fondano ampi circuiti distributivi, i cosiddetti aggregatori, che arrivano ad Apple iTunes e in altri servizi. Liquid sembra confinata nel suo ambito e non sembra produrre grandi risultati. Il formato nel frattempo è diventato il WMA di Microsoft, fino all’abbandono del 2008, in maniera non proprio elegante, per passare all’mp3 puro e semplice, senza protezione (curiosamente il comunicato attuale parla di fare salvi i vecchi file protetti: chi scrive era a conoscenza della loro inutilizzabilità già dal 2008…).

Ma anche dopo il passaggio al DRM-free le vendite continuano a latitare. E dopo altri 3 anni, Wal-Mart stacca del tutto la spina. Per il colosso significa poco. Può vendere migliaia di altri articoli diversi, e non sentirà molto la mancanza degli mp3, che la gente continuava comunque a prorcurarsi altrove.

Per Liquid, invece, potrebbe essere il canto del cigno: quel che resta di uno dei pionieri della musica online sembra destinato a non lasciare traccia. Perso l’unico cliente importante per la distribuzione di mp3, resta uno scarno catalogo discografico; già, perché a fine 2006 Anderson aveva pensato di trasformare Liquid anche in etichetta discografica.

Era stata contattata la prima (e finora unica…) artista, Ashlyne Huff, che però è uscita nel 2009 con un singolo digitale, l’anno dopo con un EP e solo nel 2011 con il primo album. Un po’ pochino.

Su Liquid.com si legge: “Liquid Digital Media is an artist-friendly, retail-driven record label, revolutionizing the music experience for the fans through leading-edge technology and industry experience“.

Dietro i termini entusiastici e pomposi del marketing c’è la fine di un sogno e il ridimensionamento a una piccola e banale label come tante. Che avrebbe potuto sfruttare la sinergia con Wal-Mart (e in effetti aveva cominciato a farlo per la promozione della Huff) e che ora invece si trova a dover vendere il proprio prodotto in file e cd passando – come tutti – per iTunes ed Amazon.

[Pubblicato su Mytech, http://mytech.it/web/2011/08/10/wal-mart-addio-alla-musica-digitale/]

File under ‘bullshit’: UltraViolet (e boiate di Repubblica.it)

La fantomatica tecnologia UltraViolet, un’accozzaglia di ben cinque (!?) tipi di diversi sistemi di protezione, quelle cose impropriamente note come “Digital Rights Management“, è una tecnologia per “cloud storing” destinata a sparire senza mai essere implementata seriamente e che – pur avendo il supporto di una cinquantina di società tra major del cinema, provider e altri nomi dell’alta tecnologia, da Nokia a Sony, di fatto non è supportata da due nomi chiave, Apple e Disney.

In pratica, secondo il DECE (Digital Entertainment Content Ecosystem) , il consorzio di società che sviluppano e supportano questo sistema, in un futuro prossimo avremo a disposizione l’accesso a un “diritto” permanente alla visione di un film, per esempio. E ciò al di là del formato o della periferica disponibile.

Un po’ come dire: hai pagato una volta, per te e la tua famiglia, per vedere questo film. Lo potrai rivedere – sempre nell’ambito del nucleo familiare – su computer, tablet, player portatili, tv e altro ancora, a vita e se occorre scaricandolo in formati diversi.
Un “locker” che anziché conservare file multimediali racchiude in pratica le licenze che ci consentono di accedere in una varietà di formati e situazioni al materiale che abbiamo acquistato.
L’idea non sarebbe di per sé malvagia ma la (non casuale, visto che l’azionista di riferimento è lo stesso…) sinergia di due leader come Apple e Disney per boicottarla e sviluppare un proprio sistema di Video on Demand, Keychest (annunciato sin dal 2009 e anch’esso di dubbia fattibilità), unita alla macchinosità del sistema, non lascia sperare troppo.

Bonus: se avete letto in merito l’articolo di Repubblica.it del 17 marzo, merita una segnalazione questa “perla”.
“Rispetto ad altre soluzioni avanzate in passato (una su tutte il PayForSure proposto nel 2004 da Microsoft)”… vogliamo ovviamente sperare in un banale refuso dovuto alla fretta.

Il “PayForSure” (lapsus freudiano? ;)) non esiste, si intendeva “PlaysForSure“, una risibile “certificazione” targata Microsoft che – a dispetto del nome – non veniva usata nemmeno dalla stessa casa produttrice…

P2P sull’attenti, parla l’Europa

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La Riaa ti denuncia? Let the music play…

Negli Stati Uniti ultimamente si è cercato di imporre un principio secondo il quale il singolo utente di un sistema P2P è perseguibile: questi i termini della pesante battaglia legale tra Riaa e il provider Verizon. Continua…

Drm: uomini o tecnologie?

Negli ultimi tempi poi sembra accentuarsi il dibattito sul cosiddetto “Drm” (Digital Rights Management); un dibattito sempre più acceso in cui alcuni di coloro che dovrebbero essere tra protagonisti sembrano addirittura non capire esattamente di cosa si stia discutendo. Continua…

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