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Peer-to-peer: Jammie Thomas/RIAA, l’epopea continua

Sorpresa: ancora un round nell’epica (interminabile?) battaglia tra il colosso della musica RIAA e Jammie Thomas-Rasset. Situazione – ancora una volta – capovolta. Verremo mai a capo del più clamoroso caso su copyright e peer-to-peer?

Viene da chiedersi se l’epopea avrà mai una fine, quante altre battaglie potranno essere combattute e quante altre volte il risultato potrà essere rivoltato come un guanto.

Stiamo parlando della complessa ed annosa vicenda giudiziaria che vede da una parte i discografici americani rappresentati dalla solita RIAA, e dall’altra Jammie Thomas-Rasset, utente della Rete, rea di aver scambiato un mucchietto di file musicali in Kazaa, ormai sei anni addietro.

Qualche giorno fa, il 22 luglio, il terzo processo si è concluso con la riduzione della multa a carico della Thomas-Rassett a 54.000 dollari di danni, somma peraltro già apparsa in un precedente grado del processo, ma poi riportata all’astronomica cifra di 1 milione e mezzo di dollari.

Breve riepilogo: nell’agosto di 6 anni fa, Jammie si era vista recapitare una classica letterina di “cease and desist” dalla RIAA. Alla diffida era accompagnata una richiesta di pagamento: la Thomas aveva apparentemente condiviso 24 file mp3 in Kazaa nel febbraio del 2005, commettendo così una violazione di copyright. La donna rifiutò di pagare e l’anno dopo si vide citare in giudizio da parte delle major del disco.

Con un “tira e molla” a dir poco storico, la Corte Distrettuale condannò la Thomas prima a pagare 222.000 dollari di danni, nel 2007; due anni dopo la somma raggiunse la bellezza di 1.920.000 $, per poi essere ridotta dal giudice Michael J. Davis a soli 54.000 dollari. I discografici proposero addirittura un accordo che avrebbe consentito alla Thomas-Rasset di uscire dal caso pagando solo 25.000 bigliettoni. La caparbia donna e i suoi tenaci difensori risposero che avrebbero pagato al massimo i danni reali: 24 dollari. Un terzo processo civile si è chiuso a novembre 2010 nuovamente con una cifra importante, come dicevamo: 1.500.000 dollari.

Nuovamente, il giudice distrettuale Davis ha ora riportato la somma a 54.000 dollari. Davis è convinto che la donna sia colpevole e che abbia anche mentito in alcuni punti, per esempio cercando di attribuire le sue azioni ai figli o all’ex fidanzato; ciononostante, il giudice, che ben conosce il caso, ha di nuovo ritenuto di dover ridurre la sanzione che gli era apparsa eccessiva.

A questo punto però entrambe le parti restano in silenzio e valutano cosa fare: su CNET, Greg Sandoval riferisce che la RIAA è in disaccordo con la sentenza e sta valutando le prossime mosse da intraprendere. Nessun commento dai legali di Jammie, ma è tutt’altro che impossibile un ricorso alla Corte Suprema.

Jammie Thomas aveva 28 anni e veniva descritta come “ragazza madre” all’inizio del caso. Ne ha 34 adesso ed è sposata dal 2009. Kazaa esiste ancora ma è sconosciuto ai più ed è peraltro un servizio legale, in abbonamento, di proprietà di una società chiamata Atrinsic, Inc. La sua versione “corsara” – che circolò dal 2001 più o meno fino al 2006 – sembra un lontano ricordo. Probabilmente i più giovani adepti del filesharing non lo hanno mai neppure incrociato; tutta la vicenda comincia a sembrare surreale, quasi situata in un’altra epoca, per i tempi di Internet e della tecnologia.

Da più parti si fa notare come il caso – che avrebbe dovuto essere una pietra miliare, l’esempio col quale porre definitivamente un freno alla pratica della condivisione non autorizzata di file – finora sia stato solo un immenso spreco di tempo e denaro, oltre a non aver fatto bene all’immagine dei discografici stessi.

Speriamo che il 2011 segni la sua conclusione e che Jammie Thomas-Rasset possa conoscere il suo fato, perlomeno prima di avere anche dei nipoti…

(Si ringrazia Nicola D’Agostino per la collaborazione)

[Pubblicato da Mytech]