Archivio dei testi con tag 'Musica'



Chuck D, Rick James & gli altri: musica digitale & cause milionarie

La distribuzione di mp3 è un’operazione di vendita o di licensing, dal punto di vista degli artisti? In un paio di importanti azioni legali, si gioca il futuro del sistema organizzativo imprenditoriale della musica

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Google compra Rightsflow: i retroscena

Che se ne fa un colosso come Google di una piccola società come Rightsflow, Inc.?

Con base a New York, nata da una costola di eMusic nel 2007, questa società fornisce servizi piuttosto specifici ad operatori del mercato musicale online.
In pratica, permette di fare da ponte tra siti (ed altri operatori) ed editori musicali, un po’ come una “SIAE” del terzo millennio. Continua…

Megaupload: le megastar a sostegno dei “pirati”?

Con un incredibile colpo di teatro, Megaupload presenta “Mega Song”: tra videoclip e spot, le star di Hollywood e della canzone supportano il servizio accusato di pirateria. Subito la prima contromossa, di Universal. Ma potrebbe essere un boomerang

La sorpresa in casa di MPAA e RIAA – le associazioni che raggruppano i grandi produttori cinematografici e musicali d’America – deve essere stata grande. Più di sorpresa forse dovremmo parlare di shock.

Già, perché a parlare in termini di aperto sostegno a Megaupload – il servizio da più parti accusato di violazioni di copyright, gestito dal losco personaggio che risponde al nome di Kim “Kimble” Schmitz – non sono blogger e utenti della rete, e neppure opinionisti e potenziali riformatori delle norme sul diritto d’autore come potrebbero essere gli esponenti del Partito Pirata svedese o tedesco.

Niente di tutto questo. A parlare, sono megastar di Hollywood e della musica. Personaggi pagati profumatamente nei rispettivi settori, e a loro volta catalizzatori di tanti successi, e quindi di proventi per le major. Continua…

SpotMeUp: musicisti gratis su Spotify (ma con l’inghippo)

Musicisti indipendenti attenzione: SpotMeUp non costa nulla ma… vuole le vostre royalty!

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Pandora & Grooveshark: successi & grane legali per il mondo dello streaming

In contemporanea, mentre Pandora annuncia degli utili, Grooveshark viene citato in giudizio da Universal per una somma astronomica, con accuse molto pesanti. Eppure, non tutto è come sembra…

Se ci dovessimo fermare in superficie, le notizie degli ultimi due giorni riguardanti due nomi noti nel mondo della musica online in streaming potrebbero essere riassunte così: è il giorno del successo per Pandora e il momento più buio della breve storia di Grooveshark. Continua…

CD Baby: 200 milioni di dollari pagati agli indipendenti

Dalle umili origini ai fasti dell’era digitale: ancora un traguardo importante, per il più grande distributore di musica indipendente

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Microsoft, addio a Zune (e per davvero)

Questa volta è tutto vero: finisce la corsa per l’anti-iPod di Microsoft, spazzato via dagli smartphone

Se ne parlava già dallo scorso mese di marzo di una possibile dismissione della linea di lettori multimediali di Microsoft: stavolta Zune chiude per davvero. Dopo una ulteriore ridda di voci e una rapida smentita, altrettanto rapida è stata la smentita-bis: i player Zune cesseranno davvero di essere prodotti.

Dopotutto, come già si disse mesi addietro, Microsoft è orientata a potenziare i Windows Phone; e il resto del mercato vede la sfida AppleAndroid (non a caso Google si era “pappata” Motorola Mobility lo scorso agosto).

Insomma in un momento in cui tablettelefoni che sono di fatto dei minicomputer la fanno da padrone – sfidandosi su vari fronti, dall’hardware alle app ai contenuti multimediali – un player che avrebbe potuto fare molta strada e forse essere l’anti-iPod, ma che di fatto era giunto sulla scena con 5 anni di ritardo nel 2006, cominciava ad apparire più che obsoleto.

Inizialmente sbeffeggiato per il suo aspetto poco attraente, per il colore marrone e persino per il nome (che suonava esattamente come un termine ebraico relativo al rapporto sessuale); in evidenza per il controverso lancio pubblicitario con tanto di immagini allusive, la sua prima incarnazione (nome in codice: Argo) era basata sul Gigaset S della Toshiba, società con cui Redmond si era per l’occasione alleata. Pur con tutte le modifiche del caso – ne esistono 4 “generazioni”, l’ultima datata 2009, diretta concorrente dell’iPod TouchZune non aveva mai sfondato. 

Una curiosità: chi scrive aveva notato mesi addietro uno strano trend; osservando dati relativi a streaming e download di alcuni artisti, sembrava che il Marketplace musicale dedicato a Zune stesse avendo più movimento di prima, nonostante le voci sullo stop alla commercializzazione.

Zune in declino e servizio online in ascesa? Pare proprio di sì; e questo perché ai suoi contenuti accedono anche utenti Xbox e Windows Phone; Microsoft deve aver certamente notato la tendenza. Il nome Zune continuerà almeno per ora a sopravvivere, associato appunto a software e servizi online come Zune Music Pass.

[Pubblicato su Mytech http://mytech.it/web/2011/10/05/microsoft-addio-zune-e-davvero/]

Estensione di copyright in Europa: il pasticcio continua

L’Unione Europea allunga la vita del copyright per le registrazioni discografiche: salvi i master dei Beatles; luci e ombre del provvedimento

La Gran Bretagna – che pure avrebbe interessi discografici forti – aveva speso fiori di quattrini per commissionare studi e dire no, dopo vari cambi di schieramento. Tutto era fermo dal 2009. Il parlamentare europeo del Piratpartiet svedese Christian Engström aveva di recente cercato di bloccare un colpo di mano dei lobbysti pro-estensione. Invece all’improvviso, l’Unione Europea ha approvato una direttiva per portare il copyright sulle registrazioni discografiche da 50 a 70 anni.

Il tutto mentre in America si discute per anticipare la tutela federale del copyright proprio sullo stesso settore e quindi forse rivedere alcune parti della attuale legislazione; sembra abbastanza bizzarro che si sia verificato tutto questo, all’improvviso e senza un dibattito.

Qualcuno suggeriva anzi che essendo nel frattempo cambiato il Parlamento in seguito alle ultime elezioni, la procedura sarebbe dovuta ripartire da zero, cancellando la decisione di due anni fa che invece ieri ha fatto un passo avanti con l’approvazione della direttiva.

L’accelerazione sembra avere solo un motivo: le prime registrazioni dei Beatles, quelle fatte in Germania nel 1961 con Tony Sheridan e sotto l’egida di Bert Kaempfert, all’epoca produttore e talent scout per la Polydor, entreranno nel pubblico dominio come master il 1° gennaio 2012. In mancanza di una estensione, da allora e nello spazio di pochi anni, intere discografie sulle quali tuttora si regge l’industria delle major classiche del disco sarebbero diventate ripubblicabili a costi contenuti da una miriade di “budget label”, semplicemente pagando i costi della SIAE o delle sue consociate estere.

L’Europa bissa così in un certo senso i contenuti della legge americana, senza arrivare agli eccessi dei 95 anni ventilati anni fa da qualcuno, né a quelli del copyright “eterno” che sembra risultare dal caso Capitol v. Naxos di qualche anno addietro (anche quello essenzialmente messo su per tutelare i master di Beatles & co. possibilmente senza fine).

Gli stati hanno ora due anni di tempo per ratificarla. Qualcuno – come Abba, Mick Jagger e U2 – canta già vittoria. Jim Killock di Open Rights Group parla di “disastro culturale” e riferisce che gli studi mostrano che il 90% delle somme verrebbe incamerato dalle label.

Vanno però fatte alcune riflessioni:

1) riusciranno paesi come Gran Bretagna e Italia, i cui governi hanno al momento problemi più seri da affrontare dell’estensione del copyright – di cui beneficerebbero essenzialmente un pugno di società e forse solo qualcuno degli interpreti – ad approvare nel giro di meno di tre mesi la suddetta ratifica, prima che qualcuno cominci a ripubblicare il materiale del 1961?

2) come nota un commentatore sul blog di Christian Engström, del Partito Pirata svedese: “Se scopro una cura per il cancro, posso ottenere un brevetto sulla mia invenzione ed essere tutelato per 20 anni. Ci vuole una piccola fortuna per ottenere il brevetto – specialmente se voglio essere tutelato in tutto il mondo – e bisogna scrivere e inviare tonnellate di documentazione. Se prendo un microfono e canto una canzone, quella registrazione è ora automaticamente protetta per 70 anni, a livello globale, senza alcun costo o sforzo”.

3) Che succederà quindi alle label che hanno già stampato materiale più vecchio di 50 anni (ma che non ha ancora raggiunto i 70 dalla prima pubblicazione)? In altre parole, per fare un esempio pratico (ma ce ne potrebbero essere una miriade così) quella stessa EMI che beneficerebbe dell’estensione per i master dei Beatles potrebbe ritrovarsi citata in giudizio per aver sfruttato in Europa master di altri artisti che in origine non erano suoi, ma che in Europa erano divenuti di pubblico dominio nel 2005? La direttiva sarà pienamente retroattiva o no?

Se quindi una parte importante dell’industria musicale sembra salutare con favore questa mossa, a chi scrive sembra che ci siano tutte le premesse per ingarbugliare ulteriormente una situazione già complessa, in un settore che avrebbe bisogno di chiarezza, semplificazione e di una boccata di ossigeno per un mercato – in particolare quello dei supporti fisici – agonizzante da oltre un decennio.

[Pubblicato da Mytech]

Music Beta by Google: arriva Magnifier, con altra musica gratis

Continua la graduale espansione del locker musicale di Google, con il lancio di un blog e nuove “iniezioni” di musica gratis

Si chiama Magnifier (“lente d’ingrandimento”) ed è una sorta di blog musicale: è un estensione di quel Music Beta by Google che rappresenta l’offerta di musica in streaming – e di locker per file musicali – di Mountain View.

Attivo dall’11 agosto anche se non particolarmente promosso o evidenziato da Google stesso (ma ora segnalato ai fortunati che già possono collegarsi al proprio locker) è sia un modo per conoscere nuova musica grazie a brevi post con segnalazioni e recensioni, che per arricchire la propria collezione con tracce aggiungibili gratis al proprio account. Con un solo clic ci si può aggiudicare la “Song of the day” oppure una intera raccolta di brani gratuiti di questo o quel genere. Nella sezione “Antenna” invece viene presentato l’artista della settimana, di cui si offrono generalmente due o tre brani. Con un secondo clic sullo stesso pulsante (che nel frattempo si è trasformato in un “Listen”) si passa dall’aggiunta all’ascolto immediato dei pezzi.

Insomma niente di rivoluzionario ma sicuramente un bonus gradevole e ben fatto, che se non altro caratterizza in maniera ancor più netta il servizio rispetto all’iCloud di Apple e alla “scatola vuota” di Amazon, che sembra restare al palo…

 

[Pubblicato da Mytech]

BBM Music, anche il BlackBerry tra le “nuvole” musicali

Research In Motion lancia un servizio cloud per BlackBerry: musica delle major in USA, Canada e Regno Unito

E’ partito a fine agosto in “closed Beta” e in tre paesi (Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada): è BBM Music, ultimo nato tra i servizi musicali “cloud“. Il lancio vero e proprio è previsto a fine anno in diversi paesi e al costo di 4,99 dollari al mese. Le agenzie riferiscono di “una selezione” di musica delle quattro major del disco (Universal, Sony, Warner, EMI).

A quanto pare, Research In Motion, casa madre degli smartphone targati BlackBerry sembra voler dire “ci siamo anche noi”, e si butta a pesce in quella che sembra la moda del momento, unendola con un’altra delle ossessioni del nostro tempo, il social networking.

Così, si potrà costruire una rete di contatti interessati alla musica; i nostri amici vedranno cosa ascoltiamo noi e viceversa: ogni utente avrà un profilo di 50 brani preferiti e potrà “scambiarne” 25 al mese.

Sarà anche possibile creare delle playlist con i titoli dei brani presenti sul proprio profilo o in quelli degli amici e condividere le playlist stesse.

Insomma, Apple avrà forse poco da temere, ma è ancora un nome che si aggiunge a una scena cloud/social in rapido affollamento, un potenziale concorrente sia di servizi stile Spotify che di cose come Music Beta di Google.

[Pubblicato su Mytech http://mytech.it/web/2011/09/04/bbm-music-anche-il-blackberry-tra-le-nuvole-musica/]

Wal-Mart, addio alla musica digitale

Il colosso della grande distribuzione getta la spugna: per il grande pubblico Wal-Mart non è mai stato un buon posto per comprare mp3; e, dietro le quinte, il destino del vecchio Liquid Audio

A dargli uno sguardo mentre scriviamo queste righe il 10 agosto 2011, su mp3.walmart.com sembrerebbe tutto regolare: un brano di Katy Perry in cima alla classifica, spot che segnalano la presenza della soundtrack di Cars 2, persino un feed che segnala le ultime novità apparse solo poche ore fa.

Insomma un negozio di musica formato mp3 in piena attività; nulla che lasci presagire che il sito chiuderà i battenti il 29 agosto, segnando l’uscita di Wal-Mart, colosso della grande distribuzione negli Stati Uniti, dal mercato della musica digitale.

Ne dà notizia Digital Music News, citando un comunicato inviato a partner e titolari di contenuti.

Nonostante il nome e le dimensioni, Wal-Mart non aveva mai avuto particolare successo in questo settore, un po’ come le major del disco per anni non sono riuscite ad imporre propri servizi di distribuzione (Sony Connect, ad esempio) o formati e DRM proprietari.

La catena di supermercati utilizzava un fornitore il cui nome dirà poco ai più, ma che – nel bene e nel male – ha fatto la storia della musica online: Liquid Digital Media.

Erede (dal 2003) dell’originale Liquid Audio attiva a fine anni ’90 e fondata addirittura nel 1996, tra i primi servizi a vendere download tra il 1997 e il 1998, Liquid aveva un proprio formato (basato sul Fraunhofer AAC), un proprio player, addirittura occorreva acquistare un software (Liquifier Pro) per convertire i propri brani da inserire in distribuzione. Un sistema macchinoso e costoso, che però non mancò di farsi notare, per una breve stagione, anche per il tentativo di mettere su un circuito distributivo (Liquid Music Network) a cui apparteneva anche il primo sito italiano a dotarsi di licenza multimediale SIAE, Web Music Company.

Quella stagione fu però effimera: l’ascesa di Liquid si può dire conclusa tra il 1999 e il 2000, quando oltre a una pletora di concorrenti decisamente più accessibili, fece la sua comparsa la prima versione di Napster. Passato di mano appunto nel 2003 (ad Anderson Merchandisers, che già riforniva la catena di supporti musicali “tradizionali”) Liquid rinasce ma con una sola funzione: diventa il fornitore ufficiale di musica digitale per Wal-Mart.

Certo, un grande nome e una grande struttura: ma nel frattempo altri (a partire da CD Baby) fondano ampi circuiti distributivi, i cosiddetti aggregatori, che arrivano ad Apple iTunes e in altri servizi. Liquid sembra confinata nel suo ambito e non sembra produrre grandi risultati. Il formato nel frattempo è diventato il WMA di Microsoft, fino all’abbandono del 2008, in maniera non proprio elegante, per passare all’mp3 puro e semplice, senza protezione (curiosamente il comunicato attuale parla di fare salvi i vecchi file protetti: chi scrive era a conoscenza della loro inutilizzabilità già dal 2008…).

Ma anche dopo il passaggio al DRM-free le vendite continuano a latitare. E dopo altri 3 anni, Wal-Mart stacca del tutto la spina. Per il colosso significa poco. Può vendere migliaia di altri articoli diversi, e non sentirà molto la mancanza degli mp3, che la gente continuava comunque a prorcurarsi altrove.

Per Liquid, invece, potrebbe essere il canto del cigno: quel che resta di uno dei pionieri della musica online sembra destinato a non lasciare traccia. Perso l’unico cliente importante per la distribuzione di mp3, resta uno scarno catalogo discografico; già, perché a fine 2006 Anderson aveva pensato di trasformare Liquid anche in etichetta discografica.

Era stata contattata la prima (e finora unica…) artista, Ashlyne Huff, che però è uscita nel 2009 con un singolo digitale, l’anno dopo con un EP e solo nel 2011 con il primo album. Un po’ pochino.

Su Liquid.com si legge: “Liquid Digital Media is an artist-friendly, retail-driven record label, revolutionizing the music experience for the fans through leading-edge technology and industry experience“.

Dietro i termini entusiastici e pomposi del marketing c’è la fine di un sogno e il ridimensionamento a una piccola e banale label come tante. Che avrebbe potuto sfruttare la sinergia con Wal-Mart (e in effetti aveva cominciato a farlo per la promozione della Huff) e che ora invece si trova a dover vendere il proprio prodotto in file e cd passando – come tutti – per iTunes ed Amazon.

[Pubblicato su Mytech, http://mytech.it/web/2011/08/10/wal-mart-addio-alla-musica-digitale/]

Turntable.fm: musica, social network e un’incredibile operazione di riciclaggio

ovvero: Come passare da un sito e app che permette di “giocare” e organizzare promozioni usando i codici a barre dei prodotti, a un incrocio tra una chat “social” e un concorrente di Spotify…

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Musica online, un “leak” di troppo: il caso Ninja Tune

Musica pubblicata in rete prima dell’uscita ufficiale: un classico; spesso, con la complicità di persone interne a label e studi di registrazione. Talvolta a fini di autopromozione; in altri casi, con conseguenze imprevedibili…

Leaking: pubblicare brani musicali in Rete, illegalmente, prima dell’uscita ufficiale. Una pratica difficile da fermare. Forse anche inutile da perseguire: dopotutto “any publicity is a good publicity”. Succede a tutti i grandi nomi, da anni, ormai sembra parte della campagna promozionale (e talvolta è proprio così).

Fa così un po’ scalpore il caso dell’etichetta Ninja Tune, che se la prende con il giornalista responsabile di un leak, peraltro neppure su artisti troppo noti. Ma andiamo con ordine.

Anche quando non c’è il placet degli aventi diritto, normalmente i brani oggetto di tali “anteprime non autorizzate” partono da qualcuno molto vicino all’artista originale e che ha accesso diretto, magari temporaneamente, ai master: persone interne alla label discografica; dipendenti di studi di registrazione. E via dicendo.

Così si può sentire di leak capitati con brani di Madonna, Vasco Rossi, Beyoncé, Guns n’ Roses e via dicendo. E’ successo a Lady Gaga col suo ultimo album, continuerà a succedere a nomi noti e meno noti.

Di solito c’è qualche lamentela da parte dell’artista o dell’etichetta. Poi il disco esce (e la gente già ne parla anche per via delle anteprime scaricate “illegalmente”…) e tutto rientra nella normalità. Più raramente ci sono guai seri: come accadde nella vicenda dei Guns n’ Roses del 2008, che portò all’intervento dell’FBI ed all’arresto del blogger Kevin Cogill, che si dichiarò poi colpevole e subì un processo durato circa un anno.

Il disco dei Guns peraltro non ebbe gran successo e non per colpa del “pirata” digitale. Curiosamente, i Guns sono anche il primo gruppo entrato – grazie a un leak – in una classifica radiofonica, senza che il disco fosse stato pubblicato.

E ritorniamo a luglio 2011 e al caso della Ninja Tune: come riferito da Digital Music News, l’etichetta di culto fondata dal duo di dj inglesi Coldcut, su un proprio blog svela che il leak a danno di due nuove uscite è opera di tale Benjamin Jager, in forza alla pubblicazione tedesca Backspin. Che ora verrà “punita” e tagliata fuori dalla distribuzione di promo.

Il tutto grazie a tecniche di watermarking sul materiale audio, che ha permesso di risalire alla copia distribuita illegalmente.

Ma il leak dunque non è promozione per Coldcut & company? E non è strano che questa azione arrivi proprio da loro, almeno in apparenza paladini delle violazioni di copyright a fini artistici (i Coldcut hanno una lunga esperienza nel sampling audio e video di lavori altrui e nel “riciclaggio” sonoro, dopotutto)?

Dichiara la label: “E’ molto difficile per artisti giovani ed emergenti riuscire a vivere della propria musica; la gente che carica in rete la loro musica mesi prima che sia commercialmente disponibile non sta facendo loro un favore“.

Il ragionamento non fa una piega: e dopotutto i Coldcut tanti anni fa non facevano mistero di rilasciare permessi anche gratis a produttori casalinghi che volessero riutilizzare qualche loro frammento; ma allo stesso tempo si fecero pagare profumatamente quando un loro “breakbeat” fu richiesto come base per un pezzo di George Michael.

Come dire: si possono avere idee anche molto aperte in tema di copyright; ma ciò non esclude il tutelarsi da utilizzi commerciali spregiudicati o da distribuzioni pirata. Un frammento campionato e rielaborato a fini non commerciali è ben diverso dalla distribuzione non autorizzata – e per di più in “anteprima” – di un lavoro completo…

[Pubblicato da Mytech]

Peer-to-peer: Jammie Thomas/RIAA, l’epopea continua

Sorpresa: ancora un round nell’epica (interminabile?) battaglia tra il colosso della musica RIAA e Jammie Thomas-Rasset. Situazione – ancora una volta – capovolta. Verremo mai a capo del più clamoroso caso su copyright e peer-to-peer?

Viene da chiedersi se l’epopea avrà mai una fine, quante altre battaglie potranno essere combattute e quante altre volte il risultato potrà essere rivoltato come un guanto.

Stiamo parlando della complessa ed annosa vicenda giudiziaria che vede da una parte i discografici americani rappresentati dalla solita RIAA, e dall’altra Jammie Thomas-Rasset, utente della Rete, rea di aver scambiato un mucchietto di file musicali in Kazaa, ormai sei anni addietro.

Qualche giorno fa, il 22 luglio, il terzo processo si è concluso con la riduzione della multa a carico della Thomas-Rassett a 54.000 dollari di danni, somma peraltro già apparsa in un precedente grado del processo, ma poi riportata all’astronomica cifra di 1 milione e mezzo di dollari.

Breve riepilogo: nell’agosto di 6 anni fa, Jammie si era vista recapitare una classica letterina di “cease and desist” dalla RIAA. Alla diffida era accompagnata una richiesta di pagamento: la Thomas aveva apparentemente condiviso 24 file mp3 in Kazaa nel febbraio del 2005, commettendo così una violazione di copyright. La donna rifiutò di pagare e l’anno dopo si vide citare in giudizio da parte delle major del disco.

Con un “tira e molla” a dir poco storico, la Corte Distrettuale condannò la Thomas prima a pagare 222.000 dollari di danni, nel 2007; due anni dopo la somma raggiunse la bellezza di 1.920.000 $, per poi essere ridotta dal giudice Michael J. Davis a soli 54.000 dollari. I discografici proposero addirittura un accordo che avrebbe consentito alla Thomas-Rasset di uscire dal caso pagando solo 25.000 bigliettoni. La caparbia donna e i suoi tenaci difensori risposero che avrebbero pagato al massimo i danni reali: 24 dollari. Un terzo processo civile si è chiuso a novembre 2010 nuovamente con una cifra importante, come dicevamo: 1.500.000 dollari.

Nuovamente, il giudice distrettuale Davis ha ora riportato la somma a 54.000 dollari. Davis è convinto che la donna sia colpevole e che abbia anche mentito in alcuni punti, per esempio cercando di attribuire le sue azioni ai figli o all’ex fidanzato; ciononostante, il giudice, che ben conosce il caso, ha di nuovo ritenuto di dover ridurre la sanzione che gli era apparsa eccessiva.

A questo punto però entrambe le parti restano in silenzio e valutano cosa fare: su CNET, Greg Sandoval riferisce che la RIAA è in disaccordo con la sentenza e sta valutando le prossime mosse da intraprendere. Nessun commento dai legali di Jammie, ma è tutt’altro che impossibile un ricorso alla Corte Suprema.

Jammie Thomas aveva 28 anni e veniva descritta come “ragazza madre” all’inizio del caso. Ne ha 34 adesso ed è sposata dal 2009. Kazaa esiste ancora ma è sconosciuto ai più ed è peraltro un servizio legale, in abbonamento, di proprietà di una società chiamata Atrinsic, Inc. La sua versione “corsara” – che circolò dal 2001 più o meno fino al 2006 – sembra un lontano ricordo. Probabilmente i più giovani adepti del filesharing non lo hanno mai neppure incrociato; tutta la vicenda comincia a sembrare surreale, quasi situata in un’altra epoca, per i tempi di Internet e della tecnologia.

Da più parti si fa notare come il caso – che avrebbe dovuto essere una pietra miliare, l’esempio col quale porre definitivamente un freno alla pratica della condivisione non autorizzata di file – finora sia stato solo un immenso spreco di tempo e denaro, oltre a non aver fatto bene all’immagine dei discografici stessi.

Speriamo che il 2011 segni la sua conclusione e che Jammie Thomas-Rasset possa conoscere il suo fato, perlomeno prima di avere anche dei nipoti…

(Si ringrazia Nicola D’Agostino per la collaborazione)

[Pubblicato da Mytech]

Amy Winehouse: successo postumo anche in iTunes

Sezione speciale in Apple iTunes per la cantante prematuramente scomparsa: e i suoi album – come previsto – balzano ancora al top delle classifiche; intanto, in YouTube…

Il copione si ripete: come per Michael Jackson e per molti altri prima di lui, la morte di una star della musica equivale spesso a un ritorno del catalogo in classifica. Così, ecco che ad Amy Winehouse, assurta al successo troppo presto e scomparsa prematuramente, tocca ora questo onore di cui avrebbe probabilmente volentieri a meno…

Ovviamente, iTunes la fa da padrone: Apple ha allestito una sezione speciale per l’amatissima cantante britannica. E peraltro dispone anche della performance live all‘iTunes Festival del 2007, a Londra.

Con 16 videoclip e 34 (!) uscite disponibili (in realtà si tratta per la maggior parte di differenti edizioni degli stessi lavori, singoli, remix e via dicendo), non stupisce che nella notte tra il 24 e il 25 luglio, le classifiche digitali di mezzo mondo presentino album della Winehouse in testa e altre uscite sparse nelle posizioni successive della Top 10.

E’ “Back to Black” a dominare le charts, sia nell’edizione “base” che nella versione Deluxe.

Anche in YouTube molta attenzione per i video di Amy; piccola gaffe della major Universal che in Facebook segnala un link al portale Vevo invisibile fuori dagli Stati Uniti, ma gli stessi identici contenuti sono invece perfettamente visibili all’indirizzo www.youtube.com/user/AmyWinehouseVEVO.

Lo scorso giugno erano state rimosse da YouTube le immagini dell’ultimo concerto in Serbia (ufficialmente per violazione di copyright, ma come è noto Universal ha invece lasciato online moltissime altre apparizioni live della stessa artista…); quelle stesse impietose immagini vengono ora ripubblicate da più parti su questo ed altri siti di video. Persino da parte della Rai, nel proprio canale sul portale video di Google. Sempre in YouTube si può reperire l’ultima apparizione pubblica: guarda caso, ancora in un iTunes Festival. Quello dello scorso 20 luglio, che vide Amy ballare sul palco – ma non cantare – durante l’esibizione di Dionne Bromfield. Appena due giorni prima della tragica fine.

[Pubblicato su Mytech]