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CD Baby: Tunecore aumenta i prezzi? Venite da noi

Un distributore di musica aumenta i prezzi per pubblicare su iTunes & co.: e la concorrenza ci va a nozze…

Se questo fosse un film, lo potremmo intitolare: “2011: Fuga da Tunecore“.

Chi scrive qualche settimana fa si è visto recapitare da un’amica cantante un messaggio standard del distributore musicale Tunecore.

Era il momento di versare la cifra annuale per il rinnovo dei servizi (Tunecore non lavora con percentuali ma con cifre fisse pagate all’inizio e poi di anno in anno).

La distribuzione di un singolo era ancora ferma a 9,99$, come nel 2008 quando il brano in questione era stato pubblicato.

Invece, per un album uscito nel 2009, i cui costi distributivi ammontavano originariamente a 19,98$ e il cui rinnovo lo scorso anno era stato effettuato allo stesso prezzo, c’era una richiesta particolare: 49,99 dollari.

L’importo non è casuale: Tunecore di fatto avrebbe ampliato la lista di servizi e modificato in parte la propria offerta, annunciando ufficialmente il 12 maggio scorso le varie novità.

Ma l’aumento del 150% delle tariffe ha scioccato non pochi musicisti indipendenti, nelle scorse settimane. Diversi artisti hanno cominciato a lavorare col sito quando il costo della distribuzione era di soli 7,98 dollari. Molti – non utilizzando più dei pochi servizi di base – meditano di lasciare il servizio e rivolgersi alla concorrenza.

Che non sta a guardare: ReverbNation ed altri già si starebbero muovendo, tentando i clienti di Tunecore con offerte per trasferire il proprio repertorio.

Chi però ha battuto tutti sinora è CD Baby; il popolare distributore indipendente e fornitore n.1 di Apple iTunes ne ha fatta una delle sue: ha lanciato un sito ad hoc all’indirizzo cdbabylovesyoumore.com.

Il sito che ha cambiato il modo di distribuire musica e che ha aiutato oltre 250.000 artisti a restare in sella per oltre un decennio, invita apertamente alla fuga da Tunecore ma anche da ReverbNation e altri concorrenti: tariffe scontate del 50% per tutti e nessun costo annuale (CD Baby si regge sulle percentuali, in caso di vendite).

L’offerta è valida solo per i titoli già pubblicati in Tunecore e altri distributori della concorrenza; contattando cdbaby {at} cdbaby(.)com, scrivendo “Switch to CD Baby” nell’oggetto e i propri dati nel messaggio, si potrà accedere all’offerta, aggressiva e decisamente furba.

CD Baby vi ama di più”, dice lo slogan. Come dargli torto? ;)

(Si ringrazia Nicola D’Agostino per la collaborazione)

[Pubblicato su Mytech, http://mytech.it/web/2011/05/19/cd-baby-tunecore/]

Musica online: pirateria, vendette & peer-to-peer

“Vendicarsi” a mezzo Torrent regalando copie pirata di tutta la discografia di un artista? Ai nostri giorni succede anche questo…

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Ovi: si torna a Nokia

Clamoroso dietrofront: dopo neanche un anno, Nokia abbandona il marchio sotto il quale aveva raggruppato diversi servizi, dalla musica alle mappe

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Google Music: anche noi nella “cloud” (dopo Amazon)

Servizi “cloud” per la musica di Google e Amazon: pericolo per iTunes, o “nuvole” di fumo? Con una riflessione sul futuro prossimo della musica online

"Nuvole" di musica anche per Google, che lancia un servizio per certi versi simile a quello recentemente avviato da Amazon. Parte stasera (solo per gli USA: gli altri se vogliono, tramite un qualche servizio proxy possono ammirare la home page e rosicare…) Google Music. Anzi, per adesso, accanto alla parola “music” c’è un grosso “beta”, perché il tutto è in fase sperimentale. “Music Beta by Google”. L’indirizzo è music.google.com. Continua…

Da PayBox.me a VirtaPay: innovazione o truffa?

Un sistema di pagamento innovativo, una moneta “virtuale” e un potenziale concorrente di Paypal, o una clamorosa truffa? Note su PayBox.me (ora VirtaPay)

Non ci sono vie di mezzo: VirtaPay sarà o un pericoloso concorrente di Paypal, o una truffa che finirà con l’incriminazione dei suoi proprietari.

 

paybox_logo

Nato come PayBox.me, questo sito ha fatto parlare moltissimo di sé nel corso del 2010 e dopo un recente cambio di nome e un parziale restyling, teoricamente ha anche fatto dei progressi verso la costruzione di un proprio sistema di moneta elettronica e di pagamenti online.

C’è però un problema di fondo: PayBox.me/VirtaPay è troppo bello per essere vero. Inizialmente, un bonus di $50 veniva offerto ai nuovi iscritti, senza dover fare nulla (!). Fin qui non è una novità così clamorosa: chi scrive ricorda i giorni – quasi la preistoria della Rete –  in cui Paypal era in fase di lancio e a ogni nuovo account veniva accreditato un bonus di 5 dollari.

VirtaPay logo

Anche se il bonus iniziale si è poi ridotto a 25 dollari, ci sono altri modi per accrescere (quasi senza far niente) questo “gruzzolo” virtuale nel proprio account. Per esempio semplicemente facendo login e controllando il blog o le altre eventuali novità del sito. VirtaPay promette 20 dollari al giorno (paradossalmente, qualcuno ha notato che se non si fa nulla e ci si collega al proprio account ogni due giorni e basta, automaticamente il totale sale di 40 dollari; se invece si partecipa a qualche attività i bonus accreditati sono inferiori).

Ma stiamo correndo: perché mai dunque questo servizio regalerebbe soldi? In teoria per due motivi: per attirare nuovi clienti e per avere un gran numero di beta tester, i cosiddetti “early bird users” che partecipando a sondaggi e altre attività, aiuterebbero in concreto lo sviluppo del sito. Una volta raggiunto un paio di milioni di utenti, si passerebbe all’apertura vera e propria.

Sempre teoricamente, attualmente il sito è in fase di scrittura del codice per le transazioni di beni digitali, quindi per la vendita di cose come mp3 ed ebook. Finora è stato invece solamente possibile inviare denaro (virtuale) da un utente all’altro, mentre non è possibile né acquistare beni fisici, né effettuare transazioni dalla moneta virtuale a quella reale del proprio conto in banca o di una carta di credito, come invece avviene in Paypal sia per prelievi che per depositi e pagamenti.

VirtaPay promette infine bonus di 10 dollari per ogni registrazione effettuata tramite appositi link di affiliazione, che riporteranno il nome dell’utente “referrer” (esempio: http://www.virtapay.com/r/djbatman). E in teoria l’attivazione di una carta di credito che permetterà di spendere i propri danari sin qui accumulati e/o di usare VirtaPay un po’ come usereste Paypal e carta di credito.

Fin qui tutto ok. Ora le dolenti note:

1) Quando il servizio si chiamava ancora Paybox, il sito era infarcito di link Google ed altri banner. Una delle accuse mosse al misterioso servizio era di voler costruire una immensa rete di utenti guadagnando nel frattempo con link e banner, per poi dichiarare fallimento alla prima occasione (e non pagare alcuno dei ricchi bonus promessi).

2) Onestamente, alcune delle iniziative sinora presentate nella fase di testing sono più che dubbie: il sondaggio per l’e-commerce, nebuloso e privo di sostanza (si trattava solo di cliccare su una mappa e indicare gli stati dove avreste voluto fare shopping); un altro sondaggio, anzi due, per la scelta del design di una carta di credito, pieno di design brutti e banali, spesso con immagini di cattiva qualità prelevate da chissà dove; oppure di qualità buona ma comunemente reperibili in librerie royalty-free. Perché mai perdere tempo e denaro in un inutile sondaggio del genere, se un vostro dipendente può fare lo stesso lavoro praticamente gratis e in pochi minuti usando una immagine generica presa da Wikimedia Commons o da un cd royalty-free?

3) Delle presunte carte di pagamento non si sa più nulla.

VirtaPay - History

4) (e questo è forse il fatto più grave) molti hanno fatto notare come, a leggere bene le condizioni del servizio, la “virtual currency” di VirtaPay è davvero “virtuale”: i dollari VirtaPay non sono necessariamente equivalenti ai dollari americani e il tasso di cambio è tutto da stabilire. In altre parole, alcuni utenti si ritrovano bonus di 10.000 dollari e potrebbero scoprire (se mai il servizio arriverà alla fantomatica fase inaugurale) che in realtà hanno in tasca solo pochi spiccioli “veri”. Gli 800 e passa dollari accumulati dal sottoscritto nell’arco di alcuni mesi facendo qualche login occasionale o votando per i bruttissimi design delle carte sono probabilmente pochi centesimi o – nel migliore dei casi – pochi dollari. Ammesso che mai diverrano utilizzabili in concreto.

VirtaPay - Balance

5) In Rete si parla molto di questo servizio ed alcuni ritengono che dietro ci siano personaggi già dediti ad attività di truffe telematiche con altri siti, in passato. Lo schema ricorda per esempio un fantomatico servizio di qualche anno fa (GreenZap) operato da tale Damon Westmoreland, personaggio legato alla truffa piramidale ThePayline.com.

6) Non ci sono in effetti informazioni sulla società che lo gestisce. Peggio: se si controlla il domain virtapay.com tramite WHOIS, si scopre che è stato usato (ufficialmente per motivi di “privacy”) il proxy www.whoisguard.com per la registrazione. In altre parole, neanche da lì si riesce a sapere chi ne sia il proprietario. In realtà, ci sono tracce lasciate dal vecchio PayBox.me: secondo http://dnsw.info/paybox.me portano a una società francese, per l’esattezza a uno studio legale specializzato in proprietà intellettuale (?) con sede a Guyancourt, cittadina della regione dell’Île-de-France.

7) Il nome originario (PayBox) sembrava scelto apposta per creare confusione: sin dal 1999 esiste in effetti in Europa un servizio per pagamenti via cellulare con questo nome e il sito www.paybox.at.

In conclusione: continueremo a monitorare VirtaPay e le notizie ad esso relative, anche se l’utente medio della Rete è avvisato: molto probabilmente esplorare il sito o postare link in caccia dei ricchi bonus annunciati non è tanto diverso da giocare con le banconote di carta del Monopoli… ;)

Pubblicato su: http://mytech.it/web/2011/04/20/da-payboxme-virtapay-innovazione-o-truffa/

Bluebeat risarcisce EMI: no alla simulazione psicoacustica

Un bizzarro caso di copyright del 2009 si chiude, almeno in parte: EMI risarcita da Bluebeat per i brani dei Beatles

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Google: il doodle è brevettato. Ma è un pasticcio

Google brevetta la tecnologia dietro i suoi celebri loghi personalizzati: ma è un brevetto discutibile, che provocherà un acceso dibattito. Abbiamo sentito il parere dell’Electronic Frontier Foundation…

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Microsoft: Zune è morto (ma anche no)

Microsoft esce dal mercato dei player multimediali? Zune rimpiazzato da Ventura? Così dicono le voci riportate da Bloomberg. Fonti interne smentiscono. A metà.

Zune – la linea di player multimediali targati Microsoft che averebbero dovuto rappresentare il più pericoloso concorrente per iPod e simili di casa Apple – sarebbe al capolinea.

Così dicono le voci, che sembrerebbero ben informate, riportate un paio di giorni addietro da Bloomberg (che descrive la fonte come “a person familiar with the decision”). Microsoft si concentrerebbe sul software Zune e sulla sua diffusione in particolare sui cellulari, in modo da guadagnare sui contenuti audio e video così distribuiti.

Nel giro di 24 ore è apparsa una parziale smentita sul forum di Anythingbutipod.com: sa di poca ufficialità (non esiste un comunicato Microsoft né sulla cessazione della produzione dell’hardware targato Zune, né come smentita di quanto riportato da Bloomberg e ripreso praticamente da moltissimi altri mezzi d’informazione online e non) ma è già qualcosa.

A parlare è Dave McLauchlan, che lavora al business development dell’hardware Zune (e quindi si è ritrovato bombardato di messaggi sull’argomento), e che per ora resta al suo posto. La divisione hardware di Zune non chiude: non è previsto nessun nuovo modello al momento, perché l’hardware Zune di quest’anno sono i telefoni Windows Phone 7; ma allo stesso tempo non è detto che non si mettano in produzone nuovi lettori in futuro.

Di certo quel 77% del mercato in mano ad Apple, schiaccia anche un gigante come Microsoft e mette in difficoltà chiunque.

Unico elemento di certezza: al momento Redmond si concentra su software e contenuti; un settore in cui avendo a disposizione una miriade di piattaforme, dai PC alla XBox, dagli Zune già in circolazione agli smartphone, potenzialmente c’è ancora spazio.

Va detto che già da alcuni giorni (lo segnalava Mary Jo Foley in ZDNet l‘8 marzo) si parlava anche di una nuova piattaforma Microsoft in questo settore, ma sotto un nome – dobbiamo dirlo – purtroppo non originalissimo. Zune verrebbe rimpiazzato da Ventura. Un nome che brutto non è, ma che se fosse quello definitivo e non solo un “nome in codice” del progetto in via di sviluppo, potrebbe portare qualche problemino.

Abbiamo fatto una piccola verifica, notando che “Ventura” ricorre ben 192 volte tra i marchi registrati negli Stati Uniti (71 volte tra i marchi ancora attivi). Se a ciò aggiungiamo che tra i marchi attivi figurano “Corel Ventura” e “Ventura Publisher” – un software ormai non più aggiornato dal 2002, ma sempre un nome leggendario nella storia dell’informatica – il rischio di trovarsi davanti a qualche grana legale per problemi di trademark (Apple ne sa qualcosa) – è più che concreto.

Come alcune delle stesse schede dell’Ufficio Marchi e Brevetti statunitense segnalano, “ventura” è anche un termine di lingua spagnola che sta per “fortuna”.

Di “buona sorte”, se sarà davvero operata questa non brillante scelta per il nome di un futuro prodotto o servizio, dalle parti di Redmond ne avranno davvero bisogno… ;)

Pubblicato su: http://mytech.it/digitale/2011/03/16/microsoft-zune-e-morto-ma-anche-no/

LimeWire, dal giudice no alle esose richieste delle major

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