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Facebook Home: la montagna partorì un topolino

Più che una mossa rivoluzionaria, un gesto casuale dettato da disperazione.
Della serie: dobbiamo raccontare almeno una puttanata ogni tre mesi sennò arriviamo al delisting dal Nasdaq in meno di un anno. Continua…

ReTweet, no grazie / ReTweet, no thanks

for all my Twitter friends: the more unwanted shit you retweet onto my stream, the faster I will block you :)

per tutti gli amici di Twitter: più retweet di cagate altrui fate, e prima mi convincete a bloccarvi. :D

Meebo, addio alle chat room

Un nome dal business model variabile e spesso incerto; una serie di chat discretamente frequentate; l’annuncio della chiusura delle chat, ufficialmente quasi senza motivo. Perché Meebo abbandona le chat room?

Esiste dal 2005 ma non ha mai sfondato, nonostante negli anni abbia avuto capitali e finanziatori di tutto rispetto (tra questi ultimi Sequoia Capital e Time Warner). Chi lo conosce associa il suo nome all’instant messaging e a stanze di chat sparse qua e là per la Rete grazie all’embedding.

Stiamo parlando di Meebo, che dallo scorso 9 agosto non consente più la creazione di chat room private dal proprio messenger, né di stanze pubbliche di cui poi fare l’embed suoi propri siti.

Se Meebo Messenger non sarebbe di per sé una cattiva idea (consente di chattare con tutti i propri contatti su vari network come AIM, Yahoo, Windows Live Messenger, Google Talk e via dicendo) va detto che intanto esistono altre applicazioni che fanno lo stesso; e inoltre, bisogna pur ammettere che spesso chi conosce questo nome ha incontrato durante la propria navigazione non l’IM di Meebo ma una qualche finestra di chat realizzata in embed grazie alle Meebo Rooms.

Già lo scorso anno un primo taglio alle suddette “stanze“. Che la community non ha proprio compreso, provocando una seria emorragia di utenti.

Ufficialmente, era come se Meebo volesse concentrarsi su alcune funzioni, e le chat room non rientrassero più in questi piani.

In effetti il servizio attuale sembra proporsi come un misto di messaggistica, social network e barra per messaggi pubblicitari, nel tentativo di creare un mix tra una piattaforma di advertising e le funzioni social così diffuse ed apprezzate di questi tempi. Non manca la presenza sui più popolari smartphone, con app dedicate per iPhone, Android e BlackBerry, che potrebbero essere i prodotti più interessanti; ma questi continui aggiustamenti e cambi schizofrenici risultano in un business model altalenante e incerto. Col a rischio di mettere su qualcosa che potrebbe non piacere né agli utilizzatori, né agli inserzionisti.

Come dicevamo, da agosto non si possono più creare nuove stanze; a il 4 ottobre 2011, la chiusura definitiva di tutte le chatroom ancora attive. Sembra un po’ un “seppuku” digitale, un suicidio online poco comprensibile. Le motivazioni sono ancora nebulose.

Il comunicato ufficiale non dice molto:

Siamo spiacenti di comunicarvi che abbiamo deciso di chiudere il prodotto Meebo Rooms. Non è una decisione presa con leggerezza. In Meebo creiamo prodotti che collegano le persone ai propri interessi e ad altre persone che condividono gli stessi interessi, e siamo giunti alla convizione che le Meebo Rooms non ci aiutino più a raggiungere al meglio quegli obiettivi. 

Noi una mezza idea ce l’avremmo. Needaddys è un sito dove persone in cerca di contatti si scambiano indirizzi generalmente per MSN o altri programmi di messaggistica o social network come Bebo e Facebook. E’ frequentato per la maggior parte da utenti britannici e la chat room altro non è che un embed realizzato con Meebo. Entrando nella stessa, si può leggere un messaggio che avverte come non essendo moderata la chat, la stessa potrebbe presentare contenuti non adatti ai minori di 18 anni. Di fatto, entrando in una stanza teoricamente riservata agli adulti, si può notare che oltre il 90% degli utenti abbia un’età media di 15 anni, con picchi verso il basso anche di 11-12 anni.

Una situazione potenzialmente pericolosa. E’ probabile che qualcuno abbia pensato che moderare un fenomeno del genere, su vasta scala, sia praticamente impossibile. E che Meebo abbia deciso di “amputarsi” questa parte piuttosto che spendere notevoli risorse per ristrutturare il servizio e creare sistemi di verifica del’età e dell’identità dei propri utenti oppure aree separate per minorenni e maggiorenni, come avviene in alcuni servizi di chat e mondi virtuali.

[Pubblicato su Mytech http://mytech.it/web/2011/09/05/meebo-addio-alle-chat-room/]

BBM Music, anche il BlackBerry tra le “nuvole” musicali

Research In Motion lancia un servizio cloud per BlackBerry: musica delle major in USA, Canada e Regno Unito

E’ partito a fine agosto in “closed Beta” e in tre paesi (Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada): è BBM Music, ultimo nato tra i servizi musicali “cloud“. Il lancio vero e proprio è previsto a fine anno in diversi paesi e al costo di 4,99 dollari al mese. Le agenzie riferiscono di “una selezione” di musica delle quattro major del disco (Universal, Sony, Warner, EMI).

A quanto pare, Research In Motion, casa madre degli smartphone targati BlackBerry sembra voler dire “ci siamo anche noi”, e si butta a pesce in quella che sembra la moda del momento, unendola con un’altra delle ossessioni del nostro tempo, il social networking.

Così, si potrà costruire una rete di contatti interessati alla musica; i nostri amici vedranno cosa ascoltiamo noi e viceversa: ogni utente avrà un profilo di 50 brani preferiti e potrà “scambiarne” 25 al mese.

Sarà anche possibile creare delle playlist con i titoli dei brani presenti sul proprio profilo o in quelli degli amici e condividere le playlist stesse.

Insomma, Apple avrà forse poco da temere, ma è ancora un nome che si aggiunge a una scena cloud/social in rapido affollamento, un potenziale concorrente sia di servizi stile Spotify che di cose come Music Beta di Google.

[Pubblicato su Mytech http://mytech.it/web/2011/09/04/bbm-music-anche-il-blackberry-tra-le-nuvole-musica/]

Facebook, l’inizio della fine?

Facebook è una moda passeggera? E se sì, siamo già all’inizio della parabola discendente? Così pensa Douglas Rushkoff dalle parti di CNN…

Continua…

Cage Against The Machine – Facebook di nuovo contro X-Factor

Dagli utenti del social network, una nuova sfida (non del tutto riuscita) al programma televisivo britannico di “talenti” musicali: e come l’anno scorso i soldi andranno in beneficenza. Ma anche stavolta qualcuno avrà il suo bel tornaconto…

I quattro minuti e trentatré secondi di silenzio di John Cage contro gli esordienti del reality X-Factor.

Dopo la vittoria dell’anno scorso, ecco una nuova sfida-sberleffo per cercare di impedire che il patrono di X-Factor, Simon Cowell, piazzi un suo protetto in cima alle classifiche britanniche. Questa volta, però, è andata meno bene.

Il richiamo all’iniziativa del 2009 era chiaro sin dal titolo, che combina il gruppo scelto la volta scorsa (Rage Against The Machine) con il nome del celebre compositore in un divertente pastiche.

Cage Against The Machine è una campagna per far diventare 4’33”, il capolavoro ‘muto’ di John Cage il n.1 di Natale 2010″, recita il comunicato diffuso dai promotori dell’iniziativa. Giocando anche sul titolo di una delle più celebri melodie natalizie (Silent Night) il gruppo Facebook che ha rapidamente messo insieme diverse decine di migliaia di persone, sperava di realizzare davvero una “notte silente” nelle classifiche di Natale, magari costringendo il primo canale radiofonico della BBC a trasmettere il silenzio di Cage.

Tutti i denari raccolti da pubblicità ed eventuali altre iniziative collaterali andranno in beneficenza (lo scorso anno la campagna su Facebook raccolse una somma notevole che fu destinata a scopi benefici), ma lasciateci sollevare un piccolo dubbio.

I detrattori della precedente campagna sostenevano che in fondo un beneficiario c’era stato: la Sony; la major, che aveva mancato il n.1 con X-Factor, l’aveva comunque ottenuto con i Rage Against The Machine, che erano distribuiti dalla stessa scuderia.

All’epoca chiudemmo la segnalazione dell’avvenuto sabotaggio con queste parole: “Facebook e social network come metodo per taroccare le classifiche discografiche dunque? E se i prossimi a farlo fossero i discografici stessi?”

L’operazione di quest’anno viene fatta non su un pezzo qualunque di un’etichetta qualunque, ma su un brano di John Cage pubblicato dalla Wall of Sound nell’ambito di un album di remix realizzato ad hoc (si può remixare il silenzio? Questa è un’altra storia… ;))

Questa etichetta viene menzionata e ringraziata nel sito ufficiale dell’iniziativa (http://www.catm.co.uk/), dove si invita anche ad acquistare tutto il blocco dei remix, anche se per partecipare alla campagna basta la sola traccia di silenzio originale. Anche sul sito della label l’iniziativa è presentata apertamente come collegata al prodotto discografico: praticamente un tutt’uno. Si parla di 5 enti a cui saranno devolute le donazioni (ma non se ne fanno i nomi) e non è chiaro se tutti i proventi delle vendite saranno donati dall’etichetta o solo parte di essi.

L’iniziativa era gustosa e ben pensata, non c’è che dire: sono coinvolti anche nomi di lusso sia tra i gli esecutori della versione silenziosa (Coldcut, Imogen Heap, Pete Doherty, Orbital, Billy Bragg…) che tra i remixer (Adam F). Ma forse sarebbe stato un filo più trasparente realizzarla con una versione preesistente del brano: dopotutto in molti hanno avuto la faccia tosta di coverizzare il silenzio di Cage; per esempio Frank Zappa, nel 1993. (Full disclosure: è stata coverizzata persino dal sottoscritto, due anni fa; una preview in streaming – rigorosamente muta – è tuttora presente su BeastDigital…).

Ma implacabile la classifiica natalizia è stata pubblicata il 19 dicembre: Cage Against The Machine ha raggiunto solo il n.21.

Lo smacco è stato doppio, o forse triplo: al primo posto Matt Cradle, con “When We Collide”. Al terzo “Surfin’Bird” dei Trashmen, brano anch’esso spinto da una campagna a mezzo Facebook (!), come pure lo stesso stratagemma ha portato al n.7 la band scozzese Biffy Clyro, nome scelto unicamente perché interprete originale del brano coverizzato dal vincitore di X-Factor (il cui titolo originale è “Many of horror”)

Comunque sia andata, le campagne Facebook hanno fatto molto rumore, ma la tv nazionalpopolare di più: nove brani sui primi dieci avevano un qualche legame con il programma prodotto da Cowell, che ancora una volta conta le banconote e ridacchia beffardo…

(Articolo realizzato in collaborazione con Nicola D’Agostino e originariamente pubblicato su Mytech, edito da Mondadori)