Megaupload, la grande truffa dei cyberlocker?



Un giro enorme di utenti e di file, moltissime violazioni di copyright reali o potenziali, un solo beneficiario: il suo pittoresco proprietario. L’avventura (a rischio) di Megaupload e dei suoi “fratelli”

Che Megaupload fosse un sito in cui la gran parte dei materiali circolanti è formata da file pirata di ogni genere (film, musica, programmi per computer e via dicendo) è cosa nota, come pure che negli ultimi anni i titolari di copyright e i loro legali abbiano tenuto d’occhio il fenomeno e abbiano cominciato ad intentare le prime azioni legali nei confronti di questo sito.

Per esempio Perfect 10, una casa produttrice di materiale per adulti, lo scorso febbraio, accusava Megaupload di ripetute violazioni della normativa statunitense. Peraltro, Megaupload non solo non aveva rimosso una serie di file dopo aver ricevuto lo scorso anno regolari notifiche dai rispettivi titolari; ma neppure sembra rispettare le minime formalità previste dal DMCA, omettendo ad esempio di pubblicare nominativi e contatti del personale incaricato di far rispettare le regole.

Ma dietro quello che potrebbe essere un locker perfettamente a norma e per certi versi affine sia ai servizi cloud recentemente lanciati o annunciati da nomi come Apple, Amazon o Google, che ad altre soluzioni già utilizzate da tempo per spedire, salvare o condividere file online (da Dropbox a YouSendit) c’è una complicata ragnatela che – a parte le violazioni di copyright reali o potenziali – rasenta il confine della truffa su vasta scala.

Nomi e siti si moltiplicano, quasi a voler creare ulteriore caos: dal noto Megaupload allo streaming di MegaVideo, fino a MegaLive, MegaPix, MegaBox e a un paio di nomi che lasciano poco alla fantasia, Megarotic e MegaPorn.

Non manca il materiale autorizzato (ecco per esempio un file autorizzato dai titolari: wwwstatic.megavideo.com/mv_player3.swf?image=http://img20.megavideo.com/31e75ff1eafbe5e280c719d9ae6d6a84.jpg&v=DB84WK3P [nota: link non più funzionante] – un videoclip del gruppo Nylon Pink) ma sembra veramente difficile da reperire, sepolto com’è sotto un’infinità di terabyte di file di dubbia provenienza, lasciati in pasto al pubblico della Rete.

Ci sarebbero dei programmi che promettono ricompense per gli utenti: caricate file, verrete pagati un tot per ogni utente che scarica o guarda in streaming. Il problema è che tutto ciò è alquanto dubbio.

Esempio pratico: chi scrive lo scorso anno ha provato a caricare tre filmati di pubblico dominio su Megaupload e Megavideo. Due non hanno avuto praticamente riscontri. Uno ha invece ottenuto oltre 10000 download. Risultato? Solo poco più di un centinaio di “punti” accreditati, come se il 99% degli scaricamenti non contassero nulla. Non solo: poco tempo dopo la sezione “rewards” è scomparsa del tutto da Megaupload, mentre si continuano a promettere analoghe ricompense per i siti “fratelli” a sfondo pornografico.

Nessun pagamento, dunque; e non è un caso isolato. In pagine web e forum si trovano messaggi di utenti che si lamentano di non aver mai ricevuto alcun pagamento nonostante i numerosissimi download ricevuti per i propri file.

Il dubbio sorge: non è che alla fine l’unico beneficiario sarà lui e basta, Kim Schmitz, spregiudicato (ma anche pregiudicato, per via di di alcune truffaldine vicende finanziarie avvenute nello scorso decennio) titolare del gruppo di siti?

Schmitz è un personaggio pittoresco, passato dai trascorsi di hacker a criminale finanziario con fedina penale non esattamente immacolata. Corpulento, si diverte a postare foto di se stesso accanto a belle donne e alla sua presunta flotta di aerei (non suoi). Poi “scompare” dalla Rete facendo sparire blog ma lasciandosi dietro tracce varie. Proprietario di automobili di lusso tra cui una Rolls (e sotto inchiesta per le immatricolazioni con dati falsi); nascosto ma non troppo da qualche parte in Asia, con base a Hong Kong (ma gli utenti cinesi non possono accedere ai suoi servizi, né gli stessi risiedono fisicamente in questo paese come server). Poi residente, pare, in Nuova Zelanda, dove avrebbe acquistato la casa più costosa del paese. Classe 1974, tedesco ma dotato di passaporto finlandese (?) “Kim Dotcom” o “Kimble“, come viene soprannominato, o anche “Kim Tim Jim Vestor” (nome taroccato con cui opera ad Hong Kong) sembra preso di peso da un clone trash delle pellicole di James Bond.

All’inizio dell’anno, su PaidContent, Joe Mullin dichiarava che il 2011 sarà probabilmente “l’anno in cui il P2P sarà finalmente eclissato dai cyberlocker“. E se un download di un torrent con centinaia di fonti può essere più rapido di un download diretto da un locker (e non essere funestato da intrusioni pubblicitarie) c’è decisamente del vero in questa dichiarazione. Gli ultimi 2-3 anni hanno visto un’escalation di questo tipo di servizi, alcuni dei quali peraltro dispongono di versioni a pagamento e – tra servizi premium e introiti pubblicitari – fatturano somme ragguardevoli, che certo non circolano in molti ambienti peer-to-peer.

Se alcuni locker concorrenti del network legato a Megaupload hanno avuto i loro problemini giudiziari (RapidShare, ad esempio) altri mantengono un basso profilo, più “pulito” e – pur offrendo anche ricompense in denaro, come Filesonic – sembrano in generale più corretti di Schmitz & c.

Un esempio pratico? Il citato strong>Filesonic innanzitutto non è infestato da banner e popup. Poi è possibile integrarlo con un serivizio rispettabilissimo come DropBox; sulla propria homepage dà spazio all'”artista della settimana”, quindi a contenuti perfettamente legittimi, diffusi dagli stessi creatori; infine, le sue statistiche non saranno esaltanti come quelle di Megaupload ma il sito sembra davvero rimuovere file sospetti in tempi relativamente rapidi e accreditare qualche centesimo per i (pur pochi) download regolarmente ottenuti giorno per giorno.

Mentre il pubblico si sposta in massa su questo tipo di applicazioni, l’attenzione dei titolari di copyright si alza; e chissà se gli 007 di qualche paese sono a questo punto alla caccia di Schmitz, che ci immaginiamo spaparanzato al sole in qualche località esotica, in dolce compagnia e con la Rolls Royce Phantom intestata a chissà chi, parcheggiata poco lontano.

In chiusura, però, vale la pena fare una precisazione; dopotutto Schmitz non deve avere troppo da temere dalla recente e strombazzata citazione in giudizio: Perfect 10 – società nata per pubblicare un omonimo magazine stile Playboy, che ha cessato le pubblicazioni nel 2007 dopo 10 anni senza mai riscuotere troppo successo – negli anni si è guadagnata la poco onorevole reputazione di “copyright troll“, con cause non esattamente motivate nei confronti di grossi nomi come Amazon, Microsoft, Google, CCBill. Come dire: una società che non avendo avuto particolare successo con i propri contenuti, tenta di fare business model con le azioni legali.

Spesso però finendo bastonata in tribunale, come è successo lo scorso anno in un caso che la vedeva contrapposta a RapidShare, che a sua volta ha deciso di rivalersi su Perfect 10

[Originariamente pubblicato su Mytech.it]