Napster è diventato buono: solo musica a prova di copyright



Il giudice ha deciso: solo brani a norma di legge. Il sito ne è responsabile. Ma per evitare i filtri, gli utenti storpiano i nomi delle canzoni, mentre spuntano i primi siti musicali off shore

Lo scorso 5 marzo, Marilyn Hall Patel, il giudice che si occupa del caso Napster, ha emesso ben due documenti contro il sito nato dall’inventiva del giovane Shawn Fanning.
La prima è un’ingiunzione e si riferisce alla causa intentata a fine 1999 dalle major discografiche e dalle loro “sottomarche” (Sony, A&m, Island, Polygram, Warner, Virgin e così via). Napster dovrà proibire la circolazione di materiali legati a queste etichette, mentre i legittimi detentori dei diritti relativi alle opere coinvolte dovranno produrre un elenco dei titoli interessati corredati dai nomi degli artisti e dei file, oltre a una dichiarazione con cui si certifica la proprietà dei brani stessi.
Sia Napster che le etichette, inoltre, dovranno individuare i nomi di file errati e le variazioni nello spelling dei titoli e dei nomi degli artisti; con questo trucchetto già diversi file sono sfuggiti ai tentativi di filtraggio: per esempio è possibile trovare un brano dal titolo Fascinating Destroyer come Facsinating Destroyer (con le lettere c e s invertite ad arte per creare un titolo “nuovo” ma comunque riconoscibile). Il fatto che per gli stessi aventi diritto sia difficile identificare tutti i file incriminati, secondo la Corte d’Appello del Ninth Circuit, comunque, non solleva Napster dai propri doveri.
Entro tre giorni dal ricevimento delle notifiche, Napster dovrà rendere inaccessibili i file con i nomi “incriminati”. Perché l’ordinanza sia efficace, occorre la sottoscrizione di una somma da usarsi come “garanzia”: un’obbligazione di cinque milioni di dollari. Tale somma è già stata depositata, quindi il provvedimento è già da considerarsi operativo.

Contro i “pirati”, non solo le major
C’è poi un altro interessante documento, praticamente identico al precedente ma non ancora entrato in vigore in quanto l’obbligazione a carico degli attori – qui di “soli” 50.000 dollari – non è ancora stata sottoscritta. Si tratta dell’ingiunzione preliminare che lo stesso giudice ha emesso nei confronti di Napster in merito a file di proprietà di artisti ed etichette indipendenti e meno conosciuti, ma sicuramente anch’essi decisi a farsi valere (anche per la questione dei diritti morali e quindi del rispetto dell’integrità delle opere e non solo per meri interessi economici).
Tra le parti lese in questo procedimento ci sono statunitensi come l’artista Matthew Montfort del progetto Ancient Future o l’etichetta hip-hop Casanova Records, ma anche etichette italiane come Kutmusic ed Ecl3ctic.
Questa causa potrebbe rivelarsi piuttosto fastidiosa per Napster visto che potenzialmente ben 60.000 indipendenti potrebbero decidere di associarsi all’azione legale azione legale, capeggiata dall’avvocato Hannah Bentley, che è anche musicista e titolare di una propria etichetta. Tale procedimento, che ha avuto una lunga gestazione nel corso del 2000 è venuto alla ribalta all’inizio del 2001 con la presentazione della “class action” (sorta di azione legale collettiva) nel mese di febbraio.

Musica “a tempo” anche per Napster
Il giorno successivo (6 marzo), Hank Barry, Ceo di Napster, ha dichiarato che la compagnia si sta già adeguando a quanto stabilito dalla Patel e prima ancora dal Ninth Circuit che, pur avendo stabilito che Napster non è di per sé illegale, hanno chiaramente ordinato la rimozione – previa segnalazione degli aventi diritto – dei materiali non autorizzati. «Continueremo a ricercare un accordo con le case discografiche» – aggiunge Barry – «e a preparare il nostro nuovo servizio in abbonamento, che ci permetterà di dare un compenso agli artisti, ai compositori e agli altri aventi diritto». Tra l’altro pare che più che censurare determinati titoli, Napster potrebbe implementare protezioni che permettano di rendere limitate nel tempo le copie scaricate (una protezione stile Liquid Audio).

Siti off shore per la musica in Rete
Nel frattempo qualcuno ha tirato fuori dal cilindro un’ipotesi semi-fantascientifica ma tutt’altro che improbabile; Matt Goyer, un fantasioso canadese già promotore di Fairtunes.com (sito che compensa gli artisti tramite donazioni volontarie fatte magari proprio dagli stessi utenti che scaricano brani gratis su Napster) ha avuto un’idea a dir poco folle: impiantare un server OpenNap in una “zona franca” dove nessuna giurisdizione potrà mai incriminare chicchessia per lo scambio dei brani.
Il luogo prescelto per l’operazione è la famigerata Sealand, ex piattaforma militare autoproclamatasi principato indipendente nel 1967. Non lontana dalle coste britanniche, la piattaforma era nota un tempo solo per l’emissione di francobolli e passaporti; da qualche tempo è invece balzata agli onori della cronaca perché una società di nome Havenco ne ha fatto la base per operazioni di gestione di database (letteralmente) off shore, senza alcun controllo governativo.
Per finanziare l’operazione (per sostenere la quale è stato aperto un sito, benché contributi si possano inviare anche tramite Fairtunes.com) occorrerebbero 15.000 dollari l’anno; in pochi giorni ne sono già stati raccolti 300.
Da notare che da qualche tempo è stato creato un link al sito Havenco e che un’immagine della piattaforma è comparsa sul sito del gruppo di “terroristi artistici” Etoy.com, finanziati dal giapponese Joichi Ito, guarda caso “advisor” della stessa Havenco. Insomma, mentre per Napster è giunto il momento della verità, la situazione della musica in rete ha ripreso a ingarbugliarsi.

Pubblicato su: http://mytech.it/flash/2001/03/09/napster-e-diventato-buono-solo-musica-a-prova-di-c/