Peer-to-peer: la clamorosa rivincita di Jammie Thomas



Da caprio espiatorio dell’industria musicale a quasi-innocente: due colpi di scena per Jammie Thomas e il suo caso legato al P2P

Il 2010 si è aperto con una serie di colpi di scena su una serie di casi giudiziari legati a filesharing e copyright in Rete.

I più clamorosi sono quelli relativi alla vicenda di Jammie Thomas-Rassett, la giovane donna accusata di aver scambiato alcuni file musicali tramite Kazaa e condannata a pagare una megamulta, prima di oltre 220.000 dollari, poi di quasi due milioni.

Una multa spaventosa, inflitta più come deterrente per la “piaga” del filesharing musicale e non solo sui sistemi peer-to-peer, che come compensazione per un danno reale, che è tutto da dimostrare (non è neppure certo che qualcuno abbia effettivamente scaricato i brani condivisi dalla Thomas).

Ebbene, il 6 luglio dello scorso anno i legali della donna avevano chiesto una revisione del processo, escludendo alcune prove a loro dire non ammissibili (registrazioni di copyright incomplete, dati acquisiti in maniera dubbia tramite Mediasentry, violando la privacy degli utenti) ed eliminando o riducendo l’ingiusta megamulta, che a molti suonava come anticostituzionale. Dopotutto, non si può colpire uno – in maniera così sproporzionata – al solo scopo di “educare” qualche milione di utenti.

Risultato: il 22 gennaio il giudice Michael Davis ha ridotto la multa a 54.000 dollari. Ancora troppo per le tasche della Thomas-Rassett, ma decisamente una cifra molto più ragionevole di quelle inflitte in precedenza. Ed è lo stesso giudice a usare le parole “monstrous and shocking” riguardo alla pena precedentemente inflitta, e persino ad aggiungere che a suo dire anche 54.000 dollari sono ancora una somma troppo alta.

Se il pagamento dei danni in questo tipo di casi deve rappresentare sia una compensazione per il danneggiato che un deterrente, per Davis 80.000 dollari a pezzo come deterrente sono davvero eccessivi (i legali della donna si aspettavano nel peggiore dei casi una condanna al minimo previsto dalla legge per singola opera: 750 dollari a pezzo, per un totale di 18.000$).

Adesso, i discografici rappresentati dalla RIAA avrebbero due possibilità, secondo Nate Anderson di Ars Technica, che ha ricostruito la vicenda: “accettare la nuova condanna a 54.000 dollari o esercitare il proprio diritto di tornare da una giuria per un terzo processo”.

Invece, si è prospettato un nuovo, inatteso scenario: il 27 gennaio si è appreso che la RIAA ha offerto a Jammie Thomas di chiudere il caso sborsando “soli” 25.000 dollari.

Perché una decisione del genere? Il caso Virgin contro Thomas, poi divenuto Capitol contro Thomas-Rassett, era la causa principe del peer-to-peer; il modello sul quale intavolare casi simili e soprattutto con cui spaventare a morte i milioni di giovani fruitori di musica e film gratis di dubbia provenienza: il mercato avrebbe potuto additare la vicenda esemplare della Thomas a chiunque fosse stato anche solo sospettato di dedicarsi a scambi di file sul P2P.

E ora? come mai questo repentino cambio di strategia? La Thomas verrebbe interamente assolta da una nuova giuria, dopo le affermazioni del giudice Davis?

La RIAA sta cominciando a sospettare di sì, e cerca di correre ai ripari. I discografici sarebbero disposti a chiudere con una cifra irrisoria a patto che la Thomas accetti di chiedere al giudice di “rimuovere” la propria decisione. Che affermerebbe una volta per tutte che un singolo utente dei sistemi P2P non sta dopotutto infliggendo questo gran danno economico al mercato.

Strano sistema, quello americano; nel dubbio, però, Jammie Thomas una volta tanto gongola. E si può permettere di declinare allegramente la generosa offerta della RIAA, che è ora costretta al terzo processo, dagli esiti più che mai incerti. Ancora una volta, la vicenda è tutt’altro che chiusa. Arrivederci al prossimo colpo di scena…

Pubblicato su: http://mytech.it/web/2010/01/29/peer-peer-la-clamorosa-rivincita-di-jammie-thomas/