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Musica online: il rilancio di Beatport

Un breve periodo di chiusura e poi il rilancio: una nuova fase per Beatport, il negozio di musica online preferito dai dj

Consente di scaricare brani in formato mp3, mp4 e wav; è specializzato solo in elettronica e dance; è attivo dal gennaio 2004, e da poco tempo online con una nuova versione: stiamo parlando di Beatport.

Non è il primo restyling: aggiornamenti importanti si erano già avuti in altre occasioni, nel 2005 e 2007. Il sito che ha sede a Denver, Colorado (ma con uffici anche a Berlino e New York) è di fatto la versione moderna del vecchio negozietto di vinili dove il dj andava a rintanarsi il sabato pomeriggio, spulciando tra le novità più insolite, tra i promo e i “white label” semianonimi, in cerca del potenziale successo da dancefloor da “sparare” in pista alla sera o da mandare in radio. O, per i più fortunati, si metteva in conto e pagava l’emittente.

Oggi quel mondo è quasi scomparso: manca forse il tipo di contatto umano del negozietto di cui sopra; ci sono però presenze in social network come Facebook e Twitter. E il nuovo Beatport permette di preascoltare ampi stralci dei brani, visualizzare la forma d’onda, trovare indicati i BPM per ogni pezzo (ecco un esempio).

Con una crescita del 31% nell’ultimo anno, Beatport ha tutte le carte in regola per restare al suo posto e migliorare ancora: lontano dai piani alti della musica online, dove risiede Apple iTunes, ma ben saldo nella propria – e tutt’altro che irrilevante – nicchia di mercato.

 

[Pubblicato da Mytech]

L’ascesa di Spotify, le mosse di Music Beta by Google

Spotify è finalmente attivo in USA: e punta a 50 milioni di utenti. Intanto Google non sta a guardare…

Le grandi manovre che potrebbero cambiare la faccia del “circo” della musica online continuano: Spotify, come ampiamente annunciato, è finalmente sbarcato negli Stati Uniti.

E i primi dati sono incoraggianti. Il noto servizio di streaming, che ha già all’attivo una discreta popolarità e 10 milioni di utenti in alcuni paesi europei, punta ad aggiungere la ragguardevole cifra di ben 50 milioni (!) di utenti statunitensi entro fine anno; ciò può sembrare un obiettivo fin troppo ambizioso. Ma d’altro canto, il fondatore Daniel Ek sembra fiducioso e anzi dichiara a CNN che le limitazioni (la necessità di ricevere un “invito” per entrare nel servizio) sono state implementate proprio per avere una crescita graduale e non “crollare” sotto il peso di troppi nuovi iscritti tutti insieme.

Un altro obiettivo decisamente ambizioso? Rendere disponibile tutta la musica registrata esistente al mondo: non solo i cataloghi delle major d’occidente quindi, ma musica asiatica, africana, sudamericana e via dicendo.

Con 15 milioni di brani in tasca, Spotify è sulla buona strada e – come abbiamo detto in altre occasioni – si candida ad essere il vero “juke-box celestiale” che la Rete attende da sin troppo tempo.

Ma uno dei principali (potenziali) concorrenti non sta a guardare: si tratta di quel Music Beta by Google nato in fretta e furia e quasi in contemporanea a iniziative simili di Apple ed Amazon. Se tutti questi servizi hanno in comune l’idea della “cloud“, della nuvola dove immagazzinare qualcosa e a cui accedere, piuttosto che avere i file sempre presenti sui propri apparecchi, va detto che la differenza principale è che le “nuvole” di Amazon e Google erano state lanciate senza permesso da parte dei detentori di diritti e quindi senza contenuto, proprio come “scatole vuote” da riempire coi propri file. Diversamente da quanto poi annunciato da Apple, e ovviamente anche dal vasto repertorio in streaming licenziato da Spotify. Google, però, sta da qualche tempo “riempiendo la scatola”. Non solo: di fatto è aperto anche a utenti nostrani. Anche se tuttora chi si reca su music.google.com trova un messaggio che riferisce che il servizio è limitato agli USA, chi aveva mesi fa richiesto un invito si è trovato ad avere accesso al servizio musicale di Mountain View.

Sorpresa: al primo accesso si possono selezionare i generi musicali preferiti (potete anche selezionarli tutti…) e ricevere brani ascoltabili gratis. Generalmente non si tratta di album completi ma di uno o più brani estratti da un disco. Il repertorio è però limitato: tutti questi brani arrivano da etichette indipendenti riconducibili all’aggregatore IODA, o da un’unica major: Sony. Come dire: qualcosa è stato fatto ma il grosso manca ancora all’appello.

L’upload dei propri brani già in proprio possesso lascia a desiderare: chi scrive è riuscito a caricare diverse centinaia di mp3 nel proprio account; allo stesso tempo ha ricevuto molti messaggi d’errore per file che Google ha incluso nella ricerca ma che non è riuscito a caricare (in alcuni casi, file protetti da DRM, ma anche semplici mp3 non protetti).

Insomma, di lavoro da fare ce n’é ancora molto, anche se qualcosa si è mosso a Mountain View; in attesa di vedere all’opera l’iCloud di Apple, solo Amazon resta al palo.

[Pubblicato da Mytech]

Spotify: finalmente in USA

Con almeno un anno di ritardo, ecco l’attesissima notizia: Spotify arriva in USA. Resa dei conti nel circo della musica online?

Di sicuro, la seconda metà del 2011 non sarà noiosa per i frequentatori del “circo” della musica digitale.

Mentre Apple, Google e Amazon lanciano le proprie “nuvole“, Spotify – re della musica in streaming – finalmente sbarca in USA.

Questo significa diverse cose: un potenziale canale di danaro fresco per etichette e artisti; un “jukebox celestiale” per gli utenti (Spotify è il servizio che più sembra avvicinarsi a questa idea; e la rilancia citando nella propria pagina dedicata al lancio in USA una definizione pubblicata nel 2009 dalla rivista Time) a costi contenuti o persino gratis.

Infine, un temibile concorrente che – oltre a poter essere l’unica vera minaccia per lo strapotere di Apple – siamo certi non mancherà di dare il colpo di grazia a qualche sito o servizio che stancamente si trascina da anni (Napster, Rhapsody, Medianet e altri ancora).

Al 12 giugno, a Spotify mancava solo il repertorio Warner per avere in tasca i cataloghi delle quattro major, a disposizione del pubblico americano. Con 10 milioni di utenti in Europa (dati di fine 2010) e 1 milione di abbonati paganti nel vecchio continente a marzo 2011, Spotify finalmente compie il grande salto verso il mercato più importante per la musica.

La data definitiva non è stata annunciata, ma stavolta sembra davvero la volta buona: il jukebox universale è in arrivo; la resa dei conti nel mondo dell’mp3, pure…

(Si ringrazia Nicola D’Agostino per la collaborazione)

[Pubblicato su Mytech]

iCloud & gli altri: Beam-It docet

E così l’annunciato iCloud di Apple è stato puntualmente presentato a inizio giugno: e potrebbe essere una rivoluzione. Anche se, a ben vedere, per alcuni versi è una rivoluzione che ha almeno dieci anni. Intanto The Pirate Bay e Techdirt avvertono..

Di “cloud”, “nuvole” in cui immagazzinare i nostri dati se ne parla da anni, spesso troppo e a sproposito. Se è vero che molti già fanno uso di sistemi che consentono di immagazzinare e magari condividere dati sui propri diversi pc o con altre persone – pensiamo ad esempio alle cartelle condivise in Dropbox – è pur vero che molte società si sono buttate su questa idea senza sapere bene dove andare a parare. Continua…

Universal: class action degli artisti per il digitale

Dopo il caso Eminem, si allunga la lista degli artisti che pretendono un trattamento diverso per le vendite di mp3: guai in vista per le major?

Nuovi guai per Universal: un gruppo di artisti prepara una class action per le royalty digitali.

Tutto comincia con Eminem, o meglio con la sua ex casa di produzione FBT e una causa che la contrapponeva ad Universal Music Group per le royalty relative alla distribuzione di musica online.

Per Universal, un mp3 è una “vendita” e quindi le royalty sono calcolate come si calcolano le vendite dei dischi. Con percentuali a favore dell’artista non proprio entusiasmanti (d’altra parte il costo del supporto fisico e i costi collaterali come grafica, studio di registrazione, promozione ecc. sono tutt’altro che trascurabili).

Nell’mp3, però, i costi si riducono drasticamente. Spesso, si tratta solo di riciclare materiale di catalogo nel nuovo formato digitale. E i contratti tra label e siti web fanno riferimento a una licenza: l’etichetta concede in licenza un master, che poi viene venduto da siti e servizi online oppure incluso in formule di abbonamento, e via dicendo.

Può sembrare solo una questione di forma; così non è: nel licensing – pensiamo a utilizzi multimediali come film, dvd, videogiochi – il compenso di un artista raggiunge anche 50% dei proventi.

Il caso Eminem, o meglio FBT/UMG, si è chiuso con una sconfitta per la major: il giudice ha sostenuto la posizione della parte attrice. E’ una licenza, bisogna pagare di più.

A questo punto molti osservatori del mercato hanno pronosticato una valanga di azioni analoghe da parte di altri artisti e produttori. La prima è stata quella degli eredi di Rick James, superstar del funk. Era inizio aprile 2011.

Qualche giorno fa si sono aggiunti altri pezzi grossi: come riferisce Hypebot, Rob Zombie, White Zombie, Whitesnake e Dave Mason sono i nomi coinvolti in una class action contro UMG, depositata alla Corte Distrettuale di San Francisco.

Universal per ora resta sulle sue posizioni: il contratto relativo ad Eminem era un caso particolare, non lo standard. Allo stesso tempo, molti altri legali studiano azioni simili per i propri clienti. Dunque le major del disco hanno da temere dal mondo degli mp3 legali più danni di quanti non ne abbia mai fatto il peer-to-peer non autorizzato? Una grana non da poco, in un momento molto delicato per il mercato.

Curiosità finale: in realtà dal caso Eminem, paradossalmente, chi non guadagnerà nulla è proprio l’artista stesso (!). Lo ha rivelato il 18 maggio MTV RapFix: in pratica, l’artista non si è unito in prima persona all’azione legale, che è stata portata avanti dai produttori di FBT. Ciò forse per non irritare la major, che è anche proprietaria di Interscope, la struttura con cui Eminem lavora tuttora.

Fatto sta che in mancanza di un accordo ad hoc (o di una ulteriore azione legale) nulla sarà dovuto da FBT a Marshall Bruce Mathers III

[Pubblicato da Mytech]

CD Baby: Tunecore aumenta i prezzi? Venite da noi

Un distributore di musica aumenta i prezzi per pubblicare su iTunes & co.: e la concorrenza ci va a nozze…

Se questo fosse un film, lo potremmo intitolare: “2011: Fuga da Tunecore“.

Chi scrive qualche settimana fa si è visto recapitare da un’amica cantante un messaggio standard del distributore musicale Tunecore.

Era il momento di versare la cifra annuale per il rinnovo dei servizi (Tunecore non lavora con percentuali ma con cifre fisse pagate all’inizio e poi di anno in anno).

La distribuzione di un singolo era ancora ferma a 9,99$, come nel 2008 quando il brano in questione era stato pubblicato.

Invece, per un album uscito nel 2009, i cui costi distributivi ammontavano originariamente a 19,98$ e il cui rinnovo lo scorso anno era stato effettuato allo stesso prezzo, c’era una richiesta particolare: 49,99 dollari.

L’importo non è casuale: Tunecore di fatto avrebbe ampliato la lista di servizi e modificato in parte la propria offerta, annunciando ufficialmente il 12 maggio scorso le varie novità.

Ma l’aumento del 150% delle tariffe ha scioccato non pochi musicisti indipendenti, nelle scorse settimane. Diversi artisti hanno cominciato a lavorare col sito quando il costo della distribuzione era di soli 7,98 dollari. Molti – non utilizzando più dei pochi servizi di base – meditano di lasciare il servizio e rivolgersi alla concorrenza.

Che non sta a guardare: ReverbNation ed altri già si starebbero muovendo, tentando i clienti di Tunecore con offerte per trasferire il proprio repertorio.

Chi però ha battuto tutti sinora è CD Baby; il popolare distributore indipendente e fornitore n.1 di Apple iTunes ne ha fatta una delle sue: ha lanciato un sito ad hoc all’indirizzo cdbabylovesyoumore.com.

Il sito che ha cambiato il modo di distribuire musica e che ha aiutato oltre 250.000 artisti a restare in sella per oltre un decennio, invita apertamente alla fuga da Tunecore ma anche da ReverbNation e altri concorrenti: tariffe scontate del 50% per tutti e nessun costo annuale (CD Baby si regge sulle percentuali, in caso di vendite).

L’offerta è valida solo per i titoli già pubblicati in Tunecore e altri distributori della concorrenza; contattando cdbaby {at} cdbaby(.)com, scrivendo “Switch to CD Baby” nell’oggetto e i propri dati nel messaggio, si potrà accedere all’offerta, aggressiva e decisamente furba.

CD Baby vi ama di più”, dice lo slogan. Come dargli torto? ;)

(Si ringrazia Nicola D’Agostino per la collaborazione)

[Pubblicato su Mytech, http://mytech.it/web/2011/05/19/cd-baby-tunecore/]

Musica online: pirateria, vendette & peer-to-peer

“Vendicarsi” a mezzo Torrent regalando copie pirata di tutta la discografia di un artista? Ai nostri giorni succede anche questo…

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Ovi: si torna a Nokia

Clamoroso dietrofront: dopo neanche un anno, Nokia abbandona il marchio sotto il quale aveva raggruppato diversi servizi, dalla musica alle mappe

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Google Music: anche noi nella “cloud” (dopo Amazon)

Servizi “cloud” per la musica di Google e Amazon: pericolo per iTunes, o “nuvole” di fumo? Con una riflessione sul futuro prossimo della musica online

"Nuvole" di musica anche per Google, che lancia un servizio per certi versi simile a quello recentemente avviato da Amazon. Parte stasera (solo per gli USA: gli altri se vogliono, tramite un qualche servizio proxy possono ammirare la home page e rosicare…) Google Music. Anzi, per adesso, accanto alla parola “music” c’è un grosso “beta”, perché il tutto è in fase sperimentale. “Music Beta by Google”. L’indirizzo è music.google.com. Continua…

Bluebeat risarcisce EMI: no alla simulazione psicoacustica

Un bizzarro caso di copyright del 2009 si chiude, almeno in parte: EMI risarcita da Bluebeat per i brani dei Beatles

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Microsoft: Zune è morto (ma anche no)

Microsoft esce dal mercato dei player multimediali? Zune rimpiazzato da Ventura? Così dicono le voci riportate da Bloomberg. Fonti interne smentiscono. A metà.

Zune – la linea di player multimediali targati Microsoft che averebbero dovuto rappresentare il più pericoloso concorrente per iPod e simili di casa Apple – sarebbe al capolinea.

Così dicono le voci, che sembrerebbero ben informate, riportate un paio di giorni addietro da Bloomberg (che descrive la fonte come “a person familiar with the decision”). Microsoft si concentrerebbe sul software Zune e sulla sua diffusione in particolare sui cellulari, in modo da guadagnare sui contenuti audio e video così distribuiti.

Nel giro di 24 ore è apparsa una parziale smentita sul forum di Anythingbutipod.com: sa di poca ufficialità (non esiste un comunicato Microsoft né sulla cessazione della produzione dell’hardware targato Zune, né come smentita di quanto riportato da Bloomberg e ripreso praticamente da moltissimi altri mezzi d’informazione online e non) ma è già qualcosa.

A parlare è Dave McLauchlan, che lavora al business development dell’hardware Zune (e quindi si è ritrovato bombardato di messaggi sull’argomento), e che per ora resta al suo posto. La divisione hardware di Zune non chiude: non è previsto nessun nuovo modello al momento, perché l’hardware Zune di quest’anno sono i telefoni Windows Phone 7; ma allo stesso tempo non è detto che non si mettano in produzone nuovi lettori in futuro.

Di certo quel 77% del mercato in mano ad Apple, schiaccia anche un gigante come Microsoft e mette in difficoltà chiunque.

Unico elemento di certezza: al momento Redmond si concentra su software e contenuti; un settore in cui avendo a disposizione una miriade di piattaforme, dai PC alla XBox, dagli Zune già in circolazione agli smartphone, potenzialmente c’è ancora spazio.

Va detto che già da alcuni giorni (lo segnalava Mary Jo Foley in ZDNet l‘8 marzo) si parlava anche di una nuova piattaforma Microsoft in questo settore, ma sotto un nome – dobbiamo dirlo – purtroppo non originalissimo. Zune verrebbe rimpiazzato da Ventura. Un nome che brutto non è, ma che se fosse quello definitivo e non solo un “nome in codice” del progetto in via di sviluppo, potrebbe portare qualche problemino.

Abbiamo fatto una piccola verifica, notando che “Ventura” ricorre ben 192 volte tra i marchi registrati negli Stati Uniti (71 volte tra i marchi ancora attivi). Se a ciò aggiungiamo che tra i marchi attivi figurano “Corel Ventura” e “Ventura Publisher” – un software ormai non più aggiornato dal 2002, ma sempre un nome leggendario nella storia dell’informatica – il rischio di trovarsi davanti a qualche grana legale per problemi di trademark (Apple ne sa qualcosa) – è più che concreto.

Come alcune delle stesse schede dell’Ufficio Marchi e Brevetti statunitense segnalano, “ventura” è anche un termine di lingua spagnola che sta per “fortuna”.

Di “buona sorte”, se sarà davvero operata questa non brillante scelta per il nome di un futuro prodotto o servizio, dalle parti di Redmond ne avranno davvero bisogno… ;)

Pubblicato su: http://mytech.it/digitale/2011/03/16/microsoft-zune-e-morto-ma-anche-no/

LimeWire, dal giudice no alle esose richieste delle major

Sorpresa: nel caso LimeWire il giudice rigetta le astronomiche richieste dei discografici; per le major è ora di cambiare strategia?

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da AudioCoop: Comunicato Stampa – “Il caso Ultrasuoni – La radio continua a uccidere la nuova musica italiana indipendente”

da AudioCoop riceviamo (e volentieri pubblichiamo) il Comunicato Stampa che segue.

Roma, 25 febbraio 2010
COMUNICATO STAMPA

Il caso Ultrasuoni
LA RADIO CONTINUA A UCCIDERE LA NUOVA MUSICA ITALIANA INDIPENDENTE
AudioCoop: prosegue il boicottaggio della nuova musica italiana da parte del mondo della radiofonia – Necessario un provvedimento urgente del Governo per salvare l’occupazione del settore

I dati del 2010 e del post Sanremo, che ha contribuito notevolmente quest’anno al rilancio della nuova musica italiana popolare di qualita’, continuano comunque ad essere preoccupanti. I principali network radiofonici italiani hanno trasmesso una media di musica italiana che si attesta poco sopra il 30% di media a fronte di un fatturato sui dischi di musica italiana, per lo stesso periodo, che è oltre il 60%, dei qual oltre un terzo provenienti dalla nuova scena musicale indipendente del nostro paese. AudioCoop aveva già lanciato il suo grido di allarme e conferma le sue preoccupazioni che minano fortemente l’attivita’ e l’occupazione di oltre 400 piccole e medie imprese del settore, vista la quasi totale esclusione da questi grandi network privati della musica prodotta dagli artisti indipendenti, la gran parte dei brani diffusi sono infatti delle major e di alcune grandi case discografiche storiche italiane, e la quasi totale assenza di generi e stili che coprono importanti fasce di mercato come l’indie-rock, il rap, il folk dialettale, il nuovo jazz italiano e i giovani cantautori emergenti solo per citare alcuni tra gli stili musicali meno gettonati nelle playlist di tali network.
Oggi poi assistiamo ad un altro fenomeno che merita di essere denunciato pubblicamente: tre tra i maggiori network radiofonici nazionali RDS, RTL e Radio Italia, con una quota di mercato radiofonica consistente in milioni di ascoltatori, hanno costituito un’etichetta discografica denominata Ultrasuoni. Tale etichetta discografica, che produce la band dei Modà, come si e’ evinto nel tempo anche dalle classifiche radiofoniche settimanali di EarOne, fa si’ che i Moda’ possano godere di una pesante promozione sui tre network, ben oltre la media di qualsiasi artista italiano e soprattutto senza pari di fronte ad un qualsiasi artista italiano indipendente. Tale promozione falsa in maniera evidente le classifiche di vendita, laddove altri artisti, senza la forza di questi tre importanti network, non possono nemmeno lontanamente raggiungere un numero di passaggi così’ elevato.

E’ un problema gravissimo , questo di una “distonia” delle radio dai gusti dei consumatori e del pubblico, che continua senza sosta oramai da anni e che sta distruggendo piano piano nel tempo il made in Italy e la territorialità della nostra musica cancellandone peculiarità e diversità e omologando il gusto degli ascoltatori alla globalizzazione musicale.

Infatti in questo modo le radio si rendono complici della morte della filiera della creatività musicale italiana non dandole sbocco sui loro network, un po’ come se nelle sale cinematografiche potessimo scegliere solo tra film americani e inglesi. Si tratta della morte della cultura italiana, ma anche nel tempo della morte delle stesse radio, che perdendo quelle peculiarità nazionali e territoriali potrebbero venire assorbite da grandi network multinazionali. Una filiera, quella musicale, che invece rappresenta una ricchezza del nostro paese che meriterebbe investimenti e incentivi per la sua promozione in Italia e all’estero, vista la grande tradizione di esportatori nel mondo da parte della nostra musica. Così proseguendo invece si uccide l’identità creativa dei musicisti italiani, si perdono tutti quei valori di una cultura popolare che fa della nostra musica ancora oggi uno dei riferimenti piu’ importanti nel mondo, si lasciano ai margini migliaia di band e di artisti, centinaia di produttori e di festival e una filiera della produzione creativa italiana che rischia di scomparire non trovando spazi di visibilità e promozione nei grandi media tv e radio del nostro paese, con particolare riferimento alle giovani produzioni indipendenti.

E’ necessario intervenire subito e con la massima urgenza per uscire da una situazione dannosa per i giovani autori di musica e l’industria discografica italiana, che potrebbe danneggiare tutta la filiera, dando il via finalmente a un decreto urgente da parte del Governo che preveda, come in Francia, l’inserimento nei palinsesti di quote di musica italiana e provenienti dai territori all’interno dei programmi giornalieri di tutte le radio e tv , pubbliche e private, ed è urgente attivare un tavolo di confronto tra produttori discografici e radio e tv presso il Ministero dei Beni Culturali per trovare sistemi di reciproco riconoscimento e sostegno a favore della nostra musica anche attraverso l’introduzione di sgravi e incentivi per chi lavora a questo importante e strategico settore della cultura italiana che deve fare sistema per tenere il passo nel suo paese e tornare a fare conoscere le musiche italiane e regionali nel mondo. Con l’attuale tipo di scelte e di programmazioni dei grandi networrk tv e radio sono nei fatti a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro nel settore musicale. Dall’altro e’ necessario anche in questa fase intervenire tempestivamente per un Commissariamento della Siae che individui una task force capace di rinnovare la Siae con la massima attenzione verso i diritti delle decine di migliaia di piccoli autori ed editori che costituiscono l’ossatura del futuro della nostra musica, lavorando verso una “federazione dei diritti” che veda, nell’ottica della ristrutturazione e razionalizzazione della spesa per un maggiore introito a favore degli artisti, insieme Siae, Scf e Nuovo Imaie, che sta avviando un nuovo corso che si apre ai nuovi artisti, e le associazioni di settore Afi, Fimi, Pmi e AudioCoop per il bene del futuro della musica.
Sulla incresciosa situazione della etichetta discografica Ultrasuoni, sulla quale sono nate polemiche giornalistiche proprio in questi giorni e sulla quale incombe da quel che ci risulta da parte di alcune associazioni la segnalazione della distorsione del mercato all’Autorita’ Garante della Concorrenza e del Mercato, che dovrebbe intervenire entro breve, si segnala tale grave anomalia che riteniamo anche noi introduca ulteriori pesanti distorsioni alla concorrenza nel mercato della musica registrata in Italia.
Preme infine segnalare al contrario la grande poliltica culturale di attenzione in questi ultimi tre anni da parte della radiofonia pubblica verso il prodotto musicale italiano con particolare riferimento alla nuova scena indipendente, quella che fa scouting e scopre i nuovi talenti italiani: da Radio Rai Uno a Isoradio, da Radio Due a Radio Tre per arrivare fino al lancio recente della Web Radio Rai, tutte dedicano anche con programmi specifici ampio spazio a tutte le declinazioni della nuova musica del futuro del nostro paese. Un plauso a Radio Rai, ai suoi dirigenti e ai suoi conduttori e l’auspicio che tali produzioni passino presto anche dalla radio alla tv pubblica portando i milioni di appassionati di musica oggi presenti in Radio Rai nella tv pubblica magari rilanciando, nel deserto dei palinsesti estivi televisivi spesso abbandonati, un bel circuito di musica italiana estiva dalle nostre belle citta’ di mare, di montagna e d’arte abbinando arte, vacanze e musica per un nuovo “disco per l’estate” indipendente.
AudioCoop
Coordinamento tra le Etichette Discografiche Indipendenti in Italia
www.audiocoop.it
Tel. 0546.24647 – Cell. 349.4461825

Musica: Sony lascia Apple iTunes?

E se una major del disco abbandonasse il lucrativo negozio di musica digitale targato Apple? I progetti di Sony: scatto d’orgoglio o suicidio commerciale?

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Qtrax: siamo morti, ma torniamo subito

Del presunto servizio musicale Qtrax come “bluff” abbiamo detto fin troppe volte. Merita però una segnalazione l’attuale conformazione del sito.

Screenshot from Qtrax dot com, January 15, 2011.
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