Drm: uomini o tecnologie?



Negli ultimi tempi poi sembra accentuarsi il dibattito sul cosiddetto “Drm” (Digital Rights Management); un dibattito sempre più acceso in cui alcuni di coloro che dovrebbero essere tra protagonisti sembrano addirittura non capire esattamente di cosa si stia discutendo.

Per molti, la sigla Drm è solo ed esclusivamente sinonimo di tecnologia: tecnologia generalmente utilizzata per proteggere o per porre limiti di qualche tipo.

File audio o video possono essere “arricchiti” e non solo “firmati” con diciture di copyright e altre informazioni (immagini, biografia degli autori, link ecc.), ma anche protetti contro la copia e la distribuzione ad altro utente. Magari limitati nel funzionamento (sono utilizzabili solo per un certo periodo di tempo) oppure non scompattabili nè masterizzabili per l’uso su lettori cd casalinghi e così via; o ancora “marchiati” indelebilmente (?) con tecnologie di watermarking.
L’impressione che si ha ultimamente è che molte aziende abbiano cominciato a pensare, in maniera fin troppo semplicistica “se Drm uguale tecnologia di protezione, mi basterà implementare questa tecnologia e sarò a posto”.

C’è un equivoco di fondo in tutto ciò: la gestione delle opere in formato digitale (perché questo è il primo significato di “management”, non dobbiamo dimenticarlo) è innanzitutto fatta da persone, non da codici e programmini vari.
Sarebbe come possedere una società di medie dimensioni e pensare “ho messo su un firewall, ho un antivirus e uso Pgp per le comunicazioni via e-mail” sentendosi perfettamente a posto dal punto di vista della sicurezza informatica. E ignorando che la presenza costante di un amministratore di sistema e di altre figure tecniche specializzate è qualcosa di imprescindibile in questo settore.

Stiamo banalizzando? Forse.
Ma la diffidenza delle major verso certe tecnologie non è forse dovuta alla scarsità di persone lungimiranti e preparate, pronte ad esaminare seriamente le possibilità offerte dal nuovo mezzo e a sfruttare quelle sicure e legali? Questa sarebbe la migliore reazione verso la diffusa illegalità dei sistemi peer-to-peer a cui in tanti si rivolgono semplicemente perché da nessuna parte si riesce ad ottenere ad un costo e a condizioni ragionevoli quello che lì si può trovare gratis o quasi.

Di sicuro, si sente l’esigenza sia da parte degli autori che degli utenti finali di un Drm “dal volto umano”.
Azzardiamo una previsione: forse, come da tempo esistono nelle case discografiche o editoriali degli appositi Uffici Royalty, che si occupano della complessa ripartizione degli introiti legati magari alla vendita di dischi o di libri, nel giro di un anno o anche meno ci saranno case produttrici dotate di un “Ufficio Drm”, atto a gestire e diffondere il materiale in catalogo in formato digitale e a ripartire i relativi proventi tra gli aventi diritto che – con la crescita del numero di operatori indipendenti, che è diretta conseguenza della diffusione delle nuove tecnologie – saranno sempre più numerosi e frammentati.

Pubblicato su: http://mytech.it/unmapped/2003/09/17/drm-uomini-o-tecnologie/